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I segreti sull'omicidio Kennedy

16-03-2023 07:47

Redazione Vox

I segreti sull'omicidio Kennedy

L’ordine esecutivo 11110 del 1963, per strappare la sovranità monetaria degli Usa dalle avide mani dell’élite globale, segnò la condanna a morte di Kennedy.

L’obiettivo primario dell’èlite finanziaria è di controllare i Paesi del mondo, attraverso la cancellazione delle democrazie, infiltrando i suoi uomini nei governi e corrompendo i vari leader al potere.

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Negli Stati Uniti è stata decisiva la creazione della FED (Federal Reserve System), perché con essa il potere finanziario si consolidò sulla Casa Bianca, sui servizi d’intelligence e su tutta la nazione, mentre gli uomini chiave delle istituzioni non poterono più restare indenni alla sua enorme influenza. Da quel momento in poi, l’élite si sarebbe potuta comprare il mondo intero senza nessun ostacolo, provocare crisi, acquisire potere dall’indebitamento dello Stato e dettare qualsiasi condizione sia al governo sia al popolo degli Usa.

 

Ciononostante, i Kennedy, una delle più ricche e influenti famiglie d’America, non avevano mai digerito la sudditanza nei confronti dell’aristocrazia finanziaria e i contrasti erano destinati a trasformarsi in guerra aperta. Così, quando nel gennaio del 1961 John Fitzgerald Kennedy fu eletto 35° presidente, iniziò subito ad avere pessimi rapporti con Allen Dulles, l’allora capo della CIA, che rappresentava in tutto e per tutto l’arrogante cupola del potere economico che si sentiva al di sopra della legge. Dulles infatti, era un influente membro dell’alta finanza di Wall Street, cugino di David Rockefeller (uno dei fondatori del gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale) e i suoi contrasti con Kennedy erano tali che il presidente ne ordinò la rimozione, insieme ai suoi vicedirettori. 
 

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GUERRA ALL’ELITE
Un simile affronto corrispondeva a una vera e propria dichiarazione di guerra all’élite che, come una gigantesca piovra, aveva messo i suoi tentacoli ovunque. Lo stesso Kennedy proveniva da una delle grandi famiglie tradizionalmente appoggiate dall’élite e quindi conosceva bene tutti i retroscena più oscuri dell’economia, del business della guerra e della politica. Anche lui, infatti, venne eletto anche grazie ai voti sporchi della mafia e la sua campagna elettorale fu finanziata dai “soliti generosi mecenati” dell’alta finanza. Con la sua elezione, quindi, Kennedy si avventurò in un pericoloso doppiogioco con l’élite per accedere alla stanza dei bottoni e tentare di cambiare il corso della storia.

Gli uomini sono fedeli a chi promuove la loro carriera e compra i loro favori e molti agenti dell’intelligence erano come serpi in casa che costituivano una grave minaccia contro la stessa vita del presidente. Kennedy, quindi, cercò di neutralizzarne il pericolo frantumandone e riorganizzandone le divisioni operative. Il suo obiettivo primario era quello di liberare il popolo e lo stesso Stato dalla tirannia dei banchieri.

 

L’ORDINE 11110
La sua “colpa” più grande fu quella di avere tentato, con l’ordine esecutivo 11110 del 4 giugno 1963, di strappare la sovranità monetaria del paese dalle avide mani della FED e dell’élite globale. Se il suo audace progetto fosse andato in porto prima del suo omicidio, tutti gli altri Paesi del mondo avrebbero potuto seguire l’esempio americano, liberando l’umanità dai suoi peggiori parassiti. Come risultato dell’ordine esecutivo, vennero stampati più di 4 miliardi di dollari direttamente dal Ministero del Tesoro sotto la giurisdizione statale, ma solo una piccola parte di queste banconote riuscì a entrare in circolazione prima della sua morte.

 

La nuova moneta statale approvata da Kennedy era stata emessa come valuta non gravata da interesse e priva di debito, con la copertura delle riserve in argento possedute dalla Tesoreria statale americana. Con questa mossa, Kennedy stava per porre fine alla speculazione sul debito pubblico e allo strapotere della finanza, ma nello stesso tempo firmò anche la propria condanna a morte. Le nuove banconote di Kennedy infrangevano il monopolio della moneta privata della FED e l’odio dell’élite nei suoi confronti raggiunse il suo apice quando, anche in materia di politica estera, espresse l’intenzione di voler fermare la guerra in Vietnam entro il 1965 (una delle maggiori voci di indebitamento dello Stato).

 

Come facilmente prevedibile, il 22 novembre 1963 il presidente venne assassinato e le sue banconote cessarono di essere prodotte.

 

LA DINAMICA DELL’OMICIDIO, LA PALLOTTOLA MAGICA E IL COVER-UP SUI RESPONSABILI
Alle 11:40 del 22 novembre 1963, il presidente degli Stati Uniti e la first lady Jacqueline giunsero all’aeroporto di Love Field a Dallas. Era l’inizio di una visita ufficiale programmata 5 mesi prima. Era previsto che la limousine presidenziale compisse un giro di 45 minuti per la città fino al Trade Mart, passando tra la gente, a dimostrazione della popolarità personale di cui godeva Kennedy. Il percorso del corteo presidenziale era stato approvato il 18 novembre e pubblicizzato sui giornali fin dal giorno successivo. 

Alle 12:30 Kennedy venne ferito mortalmente da alcuni colpi di fucile. 

Stando alla versione ufficiale, il primo colpo di arma da fuoco diretto verso JFK partì all’altezza della Texas School Book Depository. Il secondo colpo risuonò in rapida successione e colpì Kennedy da dietro, entrando nel collo. Poi un terzo colpo fatale lo centrò alla testa provocando la fuoriuscita di massa cerebrale dal cranio. All’una di notte, presso il Parkland Hospital di Dallas, il cuore del presidente Kennedy cessò di battere.

 

L’intera responsabilità dell’attentato venne sbrigativamente fatta ricadere dalla CIA su un operaio, ex Marine, di nome Lee Harvey Oswald, che avrebbe sparato un primo colpo, ricaricato il fucile, sparato un secondo colpo, ricaricato il fucile e sparato un terzo colpo nel tempo record complessivo di 6,75 secondi. L’arma che avrebbe utilizzato per l’attentato però era un moschetto Carcano calibro 6,5 prodotto a Terni nel 1940, che non aveva alcuna possibilità tecnica di sparare tre colpi in così rapida successione. Per far apparire falsamente il contrario, i tiratori dell’FBI affermarono sotto giuramento di essere riusciti a sparare con quel moschetto tre colpi negli stessi tempi del presunto attentatore, ma nel giugno del 2007 la fabbrica di Terni ha ripetuto i test balistici con il Carcano, registrando un tempo minimo di tiro di cinque secondi per colpo. Dai test, condotti sotto la supervisione di ufficiali dell’Esercito italiano, è risultato che il tiratore avrebbe impiegato minimo 15 secondi per mettere a segno i tre colpi, contro i presunti 6,75 attribuiti a Oswald (1).

 

L’inchiesta balistica ha anche portato esperti dell’Esercito ad accertare una ulteriore discrepanza nella versione ufficiale, perché la commissione Warren fornì indicazioni sull’origine del fucile matricola C2766 acquistato via posta da Oswald, sulla base di una informativa giunta da Roma proprio attraverso il SIFAR (Servizio informazioni delle Forze Armate italiane). Tuttavia, il testo del rapporto originale sulla provenienza del moschetto dichiarava cose ben diverse rispetto al contenuto del dispaccio pubblicato dalla Commissione Warren che era stato inviato nel dicembre ’63 dall’ufficio romano della CIA. Il fatto curioso è che a firmare il dispaccio era stato William Harvey, un funzionario dell’intelligence che era stato per anni responsabile dell’Executive Action, il comitato della agenzia spionistica incaricata di organizzare l’eliminazione di leader politici stranieri, come Castro o Trujillo. Harvey era stato “esiliato” da Kennedy e trasferito a Roma proprio pochi mesi prima del delitto.

 

L’inchiesta condotta dal procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison, evidenziò infatti che Oswald non poteva essere l’assassino o quantomeno non l’unico. Secondo la commissione Warren, istituita per indagare sull’omicidio, i 3 colpi che uccisero Kennedy e ferirono il governatore Connally furono sparati dalla finestra del sesto piano posta all’angolo di un edificio che ospitava un deposito di libri scolastici. Un primo sparo del fucile andò a vuoto. Un secondo colpì sia il presidente che il governatore a distanza di circa quattro secondi l’uno dall’altro causando ben sette ferite rimanendo addirittura integro. Un fatto praticamente impossibile, che accese subito un vespaio di polemiche e che passò alla storia come “the magic bullet” (il proiettile magico) (2). I test balistici condotti dai militari a Terni avrebbero invece dimostrato che le pallottole del moschetto Carcano esplose su dei blocchi di carne risultano notevolmente deformate dall’impatto, al punto tale da escludere che il “magic bullet” trovato a Dallas possa aver colpito due uomini e rimanere intatto come poi venne rinvenuto. 
 

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Ricostruzione grafica della traiettoria che avrebbe effettuato

la “pallottola magica” secondo le conclusioni della Commissione Warren.

 

Il terzo colpo infine, fu quello che ferì mortalmente il presidente. Molti testimoni hanno smentito queste conclusioni dichiarando di avere udito lo sparo del primo e dell’ultimo proiettile di fucile provenire dalla collinetta erbosa del Dealey Plaza. Inoltre, secondo il rapporto firmato dagli agenti dell’FBI Frank O’Neill e James Sibert, nel corpo del presidente c’era un altro proiettile, che venne rimosso prima dell’autopsia e la sua esistenza venne confermata anche dall’ammiraglio Galvin Galloway (3). La loro deposizione però venne segretata ed esclusa dagli atti processuali dalla Commissione Warren.

 

Era chiaro dunque che Kennedy fu ucciso con un agguato di una squadra ben organizzata e che Oswald venne usato come capro espiatorio per depistare le indagini con la fandonia del folle killer solitario. Secondo la versione del procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison, sulla quale è incentrato anche il docufilm di Oliver Stone JFK, il primo colpo mancò la Limousine. Un secondo colpo ferì Kennedy alla gola e il terzo, sparato da dietro, ferì il passante Teague, che si trovava a decine di metri dall’auto presidenziale. L’ultimo proiettile, sparato da un altro tiratore, ferì il governatore Connally, che riferì di avere visto JFK ancora illeso quando venne esploso il primo proiettile.

 

Un altro aspetto della vicenda che può essere spiegato solo con lo zampino della CIA è la clamorosa divergenza tra i risultati delle due diverse autopsie effettuate sul corpo del presidente. I medici civili di Dallas, dopo avere esaminato le ferite, affermarono espressamente che i colpi d’arma da fuoco provenivano da diverse direzioni e che a sparare furono diversi cecchini. I medici militari di Washington, invece, ribaltarono le loro conclusioni, dichiarandosi convinti che tutte le ferite erano state provocate da un unico tiratore solitario.

 

Le riprese cinematografiche amatoriali effettuate da Abraham Zapruder hanno persino rivelato che Kennedy venne colpito a morte da proiettili provenienti dal lato anteriore dell’automobile e non da quello posteriore (4). Oswald quindi non avrebbe mai potuto centrare il presidente dal magazzino di libri dove si era appostato secondo la ricostruzione ufficiale. È quindi fuori dubbio che Kennedy fu assassinato da una squadra di professionisti ben addestrati e coordinati tra loro secondo il classico modus operandi dei servizi segreti.

 

Oswald appena si rese conto di essere stato incastrato dai servizi segreti si dichiarò pronto a far luce sull’intera vicenda in tribunale, ma il 24 novembre del 1963, prima che riuscisse a parlare, venne freddato dai colpi di pistola da Jack Ruby, un sicario mafioso, dentro la centrale di polizia dove gli agenti lo stavano scortando per trasferirlo in prigione.
Ruby due mesi prima dell’attentato a Kennedy si era incontrato segretamente a Miami con Johnny Roselli, un potente boss della mafia che aveva partecipato al tentativo di assassinio di Fidel Castro per conto della CIA (5). Ruby, oltre ad avere lavorato a stretto contatto con lui, ne aveva permesso la liberazione dalla prigione cubana invocandone il perdono in cambio di denaro. Nel 1976, il giornalista investigativo William Malone ha esaminato i documenti declassificati degli archivi dei servizi dell’intelligence e ha scoperto che anche lo stesso Ruby collaborava con la CIA e l’FBI (6). Ruby infine, era a sua volta collegato a Meyer Lansky, un altro boss mafioso che collaborava con i servizi d’intelligence (7). 

 

Ufficialmente Ruby morì 3 anni dopo in un ospedale di Dallas per un’embolia polmonare provocata dal cancro. Alcune settimane prima, la sua sentenza di condanna era stata annullata dalla Corte d’Appello ed era in attesa di un nuovo processo. Le vere cause del suo decesso non sono mai state chiarite, a causa di un sospetto avvelenamento con sostanze cancerogene (8). Prima di morire, infatti, disse al vicesceriffo di Dallas Al Maddox di avere saputo di essere stato avvelenato con una iniezione che provocava il cancro (9), e a distanza di molti decenni sappiamo con certezza che la CIA disponeva effettivamente di queste sostanze cancerogene da usare contro leader politici stranieri e i personaggi scomodi da eliminare con cause apparentemente naturali (10).

 

Ruby, dopo l’omicidio di Oswald, aveva affermato con sicurezza che il suo gesto patriottico sarebbe stato capito e che i giudici gli avrebbero concesso la libertà, ma poi rimase in prigione per anni e probabilmente iniziò a nutrire un forte risentimento per i suoi mandanti, che probabilmente gli avevano promesso un esito favorevole del processo. Nel 1965, infatti, Ruby aveva iniziato a “parlare troppo” e aveva rilasciato un’intervista televisiva in cui contraddiceva la versione ufficiale, secondo la quale aveva agito da solo e per puro patriottismo: “Il mondo non conoscerà mai i veri fatti di ciò che è accaduto e le mie vere motivazioni. Le persone che avevano così tanto da guadagnare e un motivo ulteriore per mettermi nella posizione in cui mi trovo non lasceranno mai che la verità venga rivelata al mondo”. L’intervistatore allora gli chiese: “Queste persone sono in posizioni molto alte, Jack?” e Ruby rispose: “Sì. Sono condannato. Non voglio morire e non sono pazzo. Sono stato incastrato per uccidere Oswald”. 

Secondo un articolo del Sunday Times, Ruby disse anche allo psichiatra Werner Teuter che l’assassinio del presidente era “un atto di rovesciamento del Governo” e che sapeva chi aveva ucciso realmente il presidente Kennedy (11). 


Un promemoria dell’allora direttore dell’FBI e Gran Maestro massone J. Edgar Hoover, (12) classificato top secret e poi reso pubblico, inviato al presidente Lyndon B. Johnson nei giorni successivi all’assassinio, raccomandava la necessità di convincere l’opinione pubblica che Oswald era l’unico assassino (13). Al contrario, il procuratore distrettuale di New Orleans Jim Garrison dichiarò espressamente che l’omicidio di J.F. Kennedy e l’insabbiamento del processo erano opera dei servizi segreti (14). 
Nel 2017, l’ex presidente Trump ha ordinato la declassificazione di 2.800 documenti della CIA sull’omicidio Kennedy (i trecento file chiave però sono rimasti secretati per presunte “ragioni di sicurezza nazionale”) e si è scoperto che, il giorno prima della sua uccisione, l’FBI era stata persino avvisata delle minacce di morte contro Lee Harvey Oswald (15). È stato accertato inoltre dai documenti di archivio dell’FBI che Oswald era tenuto sotto stretta sorveglianza dalle autorità da almeno quattro mesi prima dell’attentato a Kennedy (16). 
La presenza di altri cecchini durante l’assassinio del presidente è dimostrata anche dalla foto scattata dalla signora Mary Moorman in direzione della collinetta erbosa di Grassy Knoll proprio nel momento in cui Kennedy venne colpito alla testa da un tiratore scelto. Gli ingrandimenti della foto hanno poi permesso di vedere il preciso momento dello sparo del proiettile dalla canna del fucile di un cecchino in posizione di mira vicino a un altro uomo (18). Poiché tale ingrandimento fornisce solo una immagine molto sgranata, con una nuvoletta di fumo in corrispondenza della canna del fucile sulla spalla di un uomo in posizione di mira, i sostenitori della versione ufficiale hanno dichiarato che il fumo dello sparo in realtà è solo una macchia di fogliame o altro. Ciononostante, le foto scattate successivamente mostrano invece molte persone correre proprio verso la collinetta di Grassy Knoll perché, come testimoniarono in seguito, avevano visto del fumo dagli alberi e sentito il rumore dello sparo provenire da quella direzione (19). 
Nel 2007 E. Howard Hunt, un agente operativo della CIA (ex assistente esecutivo del potente Allen Dulles) che aveva avuto dei ruoli chiave all’interno dell’amministrazione Nixon, del Watergate e di importanti operazioni come “la Baia dei Porci” (la fallita invasione di Cuba organizzata dagli USA), prima di morire ha voluto raccontare tutta la verità riguardo all’omicidio Kennedy (20). La sua testimonianza è stata raccolta dal figlio sul letto di morte.
Secondo quanto rivelato da Hunt, l’attentato è stato pianificato e realizzato dalla CIA con l’aiuto di Lyndon B. Johnson (poi divenuto nuovo presidente), J. Edgar Hoover (capo dell’FBI), che facilitò l’insabbiamento operato dalla commissione Warren supportando la storia del killer solitario, e Cord Meyer, l’agente della CIA a capo dell’operazione “Mockingbird” (volta a manipolare l’opinione pubblica attraverso i media) (21). 
La commissione venne istituita dal presidente massone Lyndon Johnson, (22) che entrò in carica subito dopo l’omicidio, ed era composta da sette membri, tra cui spiccavano i nomi di due esponenti dell’élite finanziaria internazionale come John J. McCloy, ex presidente della Banca mondiale, e il famigerato ex capo massone (23) della CIA Allen Dulles, cugino di John D. Rockefeller, che Kennedy aveva rimosso proprio perché lo riteneva una minaccia. Tra gli altri membri figuravano il presidente Earl Warren (Gran Maestro massone (24) e presidente della Corte Suprema), da cui la Commissione prese il nome, i senatori Richard Russell Jr. e John Sherman Cooper, i membri della Camera dei rappresentanti Gerald Ford (massone (25) poi divenuto vicepresidente e presidente USA) e Hale Boggs. Molti anni dopo, anche il presidente Nixon dichiarò su un nastro registrato che il rapporto della Commissione Warren era una menzogna contro il popolo americano (26). 
 

 

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Il documento dell’FBI dimostra che Oswald era sotto la sorveglianza dell’agenzia dal 9 agosto del 1963.

 


I TESTIMONI E LE PERSONE INFORMATE MUOIONO
Dopo l’uccisione di Kennedy, tra il 1963 e il 1980, si verificò una lunga scia di morti fra i testimoni e le persone informate sui fatti (almeno 120) (27), che avrebbero potuto ribaltare le conclusioni della Commissione Warren. Tutti questi decessi furono archiviati come dovuti a incidenti o a cause naturali, ma l’elevato indice di mortalità di tutte le persone collegate all’omicidio costituisce già di per sé un elemento statistico di prova del verificarsi di un fatto anomalo che può essere facilmente spiegato solo con il coinvolgimento dei servizi segreti, gli unici a poter organizzare una adeguata copertura mediatica e giudiziaria per ogni singola uccisione.

 

Qui, a titolo esemplificativo, 8 degli oltre 100 casi sospetti:

1.    Karyn Kupcinet era una giovane attrice che venne trovata morta strangolata il 28 novembre del 1963. La mattina del 22 novembre del 1963 aveva chiamato il 911 venti minuti prima dell’attentato per avvisare che la vita del presidente Kennedy era in pericolo. Suo padre, Irv Kupcinet, conosceva bene Jack Ruby sin dagli anni ’40 e, secondo il giornalista Jones Penn, aveva saputo da lui del piano per uccidere Kennedy, ma poi avrebbe commesso l’errore fatale di rivelarlo alla figlia. 


2.   Jack Zangretti era il gestore di un night club frequentato dalla mafia chiamato “The Red Lobster”. La notte del 23 novembre 1963 disse ai suoi amici che Kennedy era stato assassinato da tre uomini e che Oswald era solo il capro espiatorio. Aggiunse che Oswald sarebbe stato tolto di mezzo il giorno dopo da Jack Ruby e che entro qualche giorno sarebbe stato rapito un membro della famiglia di Frank Sinatra per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’omicidio di Oswald. Entrambe le previsioni si avverarono: il giorno dopo Ruby uccise Oswald e il 10 dicembre del 1963 venne rapito il figlio di Frank Sinatra. Tre giorni prima, Zangretti venne assassinato con un colpo di pistola e il suo corpo fu ritrovato nel lago Lugert, in Oklahoma. 


3.    Eddy Benavides è morto accidentalmente il 16 febbraio del 1965 per un colpo di pistola alla testa, partito durante una sparatoria in un locale. Era il fratello di un testimone e si sospetta che sia stato ucciso come avvertimento. 


4.    William Bradley Hunter era un reporter dell’Independent Press- Telegram che si trovava a casa di Ruby la sera del 24 novembre 1963 (dopo l’omicidio di Oswald). È morto il 23 aprile del 1964 a causa del proiettile esploso per errore da un poliziotto. 


5.    Jim Koethe era un reporter del Dallas Times Herald e la sera del 24 novembre 1963 fece visita all’appartamento di Jack Ruby insieme a Bill Hunter e Tom Howard, l’avvocato di Ruby che gli aveva fatto visita nella sua cella. I tre passarono ore a parlare con il coinquilino di Ruby, George Senator, e Koethe riteneva di avere scoperto qualcosa di importante. Per questo motivo stava curando la redazione di un libro inchiesta sull’assassinio di Kennedy, ma il 21 settembre 1964 fu trovato morto nella sua casa di Dallas. Il corpo era riverso sul pavimento avvolto in una coperta. L’appartamento era in uno stato di disordine e il cadavere aveva l’osso del collo rotto. 


6.    Tom Howard, l’avvocato di Ruby, la sera del 24 novembre 1963 aveva avuto un colloquio in prigione con il suo assistito e poi si era recato nel suo appartamento insieme ai reporter Jim Koethe e William Hunter. Affermò di aver acquisito informazioni importanti sull’omicidio. È morto il 27 marzo 1965 per un presunto arresto cardiaco all’età di 48 anni. 


7.    Guy Banister era un agente speciale dell’FBI. Dopo avere lasciato il dipartimento di polizia di New Orleans, aveva fondato la Guy Banister Associates Inc., una sua agenzia investigativa privata situata al 434 del Balter Building. Nel giugno 1960, Banister trasferì il suo ufficio al 531 di Lafayette Street, al piano terra del Newman Building. Dietro l’angolo dello stesso edificio, ma con un ingresso diverso, era ubicato l’indirizzo 544 di Camp Street, lo stesso che successivamente venne stampato sui volantini del “Fair Play for Cuba Committee” distribuiti da Lee Harvey Oswald, il sospetto assassino del presidente John F. Kennedy. Il Newman Building ospitava gruppi militanti anticastristi, tra cui il Cuban Revolutionary Council (dall’ottobre 1961 al febbraio 1962), così come il “Crusade to Free Cuba Committee” di Sergio Arcacha Smith. La sede di Banister si trovava vicino agli uffici di New Orleans dell’FBI, della CIA, dell’Office of Naval Intelligence e della Reily Coffee Company (datore di lavoro di Lee Harvey Oswald e sostenitore dei cubani anticastristi). David Ferrie era un attivista anticastrista che collaborava con Banister e tra il 1962 e il 1963 si trovava spesso nel suo ufficio. Il giorno dell’attentato contro Kennedy, Banister e uno dei suoi investigatori, Jack Martin, stavano bevendo insieme al Katzenjammer Bar, situato accanto al 544 di Camp Street a New Orleans. Al loro ritorno nell’ufficio di Banister, tra i due uomini scoppiò un’accesa discussione, poiché Banister credeva che Martin gli avesse rubato dei documenti dagli archivi e gli sparò diversi colpi di pistola, ferendolo gravemente. Durante la furibonda lite che culminò con la sparatoria, Martin aveva gridato: “Cosa hai intenzione di fare? Uccidermi come avete fatto con Kennedy?” Nei giorni seguenti, Martin dichiarò alle autorità e ai giornalisti che l’attivista David Ferrie era coinvolto nell’omicidio. Aggiunse anche che Ferrie conosceva Oswald dai tempi della pattuglia aerea civile di New Orleans e che il giorno dell’assassinio di Kennedy aveva pilotato l’aereo con cui erano fuggiti gli assassini. I testimoni intervistati dallo United States House Select Committee on Assassinations indicarono che Banister “era a conoscenza di Oswald e del suo “Comitato Fair Play per Cuba” prima dell’assassinio”. La segretaria di Banister, Delphine Roberts, dichiarò ad Anthony Summers che Oswald “sembrava avere rapporti familiari con Banister e con il suo ufficio”. La signora Roberts spiegò inoltre quanto segue: “Da quanto ho capito, aveva l’uso di un ufficio al secondo piano, sopra l’ufficio principale dove lavoravamo. Poi, più volte, il signor Banister mi ha portato di sopra e ho visto vari scritti su Cuba attaccati al muro. Lassù c’erano vari volantini relativi al Fair Play per Cuba”. Banister quindi, era entrato nel mirino delle indagini del procuratore distrettuale Jim Garrison, che lo riteneva coinvolto nell’attentato contro Kennedy insieme alla CIA, ma morì improvvisamente per una trombosi il 6 giugno 1964 all’età di 63 anni. 


8.    David Ferrie, era un aviatore statunitense che aveva collaborato con Guy Banister nelle attività anticastriste ed era stato accusato dal procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison, di conoscere Oswald e di essere coinvolto nell’assassinio del presidente John F. Kennedy. L’aiutante di Garrison, Lou Ivon, dichiarò che Ferrie gli aveva telefonato il giorno dopo che l’indagine del procuratore distrettuale nei suoi confronti era divenuta di dominio pubblico, per informarlo di cosa sarebbe successo: “Sai cosa mi fa questa notizia, vero? Sono un uomo morto. Da qui in poi, credimi, sono un uomo morto”. Il 22 febbraio 1967, meno di una settimana dopo che il New Orleans States-Item aveva rivelato l’area delle indagini di Garrison, Ferrie fu trovato morto nel letto del suo appartamento. Aveva 49 anni e l’autopsia stabilì che la causa della morte era una emorragia cerebrale. Negli anni successivi, John B. Ciravolo Jr. di New Orleans ha pubblicato una foto del 1955 che immortalava Ferrie insieme a Oswald nella stessa unità di pattuglia aerea civile (CAP).

 

OLIVER STONE CONTRO IL DEEP STATE

Durante la sua lunga carriera, il celebre regista e produttore cinematografico americano Oliver Stone, ha realizzato un approfondito docufilm sull’attentato a Kennedy che ha letteralmente demolito le conclusioni ufficiali della Commissione Warren. Proprio per questo motivo, però, Stone si è dovuto scontrare con molti tentativi di boicottaggio, che ha descritto durante un’intervista del 1998:


“Nel mio film sostengo che in realtà ci furono due cerchie di responsabili, una più piccola e ristretta per uccidere il presidente, che coinvolgeva al massimo cinque o dieci persone, e un’altra molto più estesa, per coprire le prove e mettere tutto a tacere. Tra coloro che ebbero un ruolo in quest’ultima, c’era certamente Lindon Johnson, che poi è divenuto presidente al posto di Kennedy e ha istituito la Commissione d’inchiesta Warren, che fece un lavoro davvero pessimo. Insieme a lui hanno operato i servizi segreti, che hanno tenuto nascoste alcune prove fondamentali. È innegabile che appena il mio film è stato annunciato, hanno cominciato ad attaccarmi e a rifiutare anche solo l’idea che io potessi parlare dell’argomento. Hanno rubato la prima stesura del copione e l’hanno fatta circolare per tutti i giornali, i settimanali e i periodici. Hanno divulgato il finale del film, cosa che di solito non si fa mai. Mi hanno ridicolizzato pubblicamente prima ancora che iniziassi a girare. E naturalmente, quando il film è uscito nelle sale, hanno ricominciato tutto da capo e il bello è che nessuno si è interessato a quello che è il punto fondamentale di tutta la faccenda, cioè agli interrogativi che il mio film pone. Ce ne sono almeno quaranta su Oswald, sul ruolo della CIA, su Allen Dulles e molto altro. La Commissione Warren mentì in modo evidente, perché in quel momento Oswald doveva essere l’assassino. Subito dopo la sua uccisione, il New York Times pubblicò un titolo a tutta pagina: “Ucciso l’assassino di Kennedy”, anziché “il presunto assassino”. Hanno condannato Oswald nella coscienza collettiva senza neanche processarlo.

Il problema del mio Paese è un problema comune a molti altri Stati, compresa l’Italia. È il problema del popolo contro lo Stato. Nel mio Paese lo Stato ha tradito la Costituzione, ha ucciso Kennedy, ha occultato le prove e continua a farlo. Lo ha fatto molte altre volte, nel caso di Nixon, dei bombardamenti segreti nel Laos e in Cambogia, in Iran, in Nicaragua, con i Contras e gli ostaggi in Iran. L’omicidio di Kennedy è stato lo spartiacque e solo oggi cominciamo ad avvertire le conseguenze di quell’evento. Non riusciremo mai a scoprire la verità sull’attentato, perché non c’è nulla di scritto che possa provare la complicità dei responsabili, ma gli americani inconsciamente lo sanno che è stata tutta una menzogna. Il 68% degli americani ritiene che a uccidere Kennedy sia stato il Governo, ma è un fatto che non riguarda più solo Kennedy, bensì il nostro futuro, le generazioni del domani. Come faremo a riprendere in mano il controllo della democrazia? Come faremo a far sì che il governo tolga il segreto dalle sue malefatte? Come?” (28).


L’INVENZIONE DEL COMPLOTTISMO PER ZITTIRE IL DISSENSO

Prima che i termini “fake news” divenissero di uso comune, tutte le informazioni sgradite allo Stato profondo venivano classificate come teorie complottiste, mescolando insieme le castronerie più assurde con i fatti veri che si volevano screditare e insabbiare.
Per la stragrande maggioranza delle persone che si fida ciecamente dell’establishment e dei media mainstream controllati dall’élite, questo tipo di comportamento è giusto e logico, perché serve a evitare che i cittadini più ingenui possano perdere fiducia nelle istituzioni a causa delle teorie farneticanti di un gruppo di folli.


Quello che però non è stato mai spiegato alle masse è che in realtà il termine “complottismo” venne coniato e iniziò a essere utilizzato per la prima volta dalla divisione di guerra psicologica della CIA, tre anni dopo l’assassinio di Kennedy. Lo scopo era insabbiare con il discredito tutte le prove che conducevano ai servizi d’intelligence (etichettate come follie complottiste) (29) e difendere le scandalose conclusioni del rapporto Warren che, contro ogni evidenza, attribuì tutte le responsabilità dell’attentato a Lee Harvey Oswald. A dimostrarlo oltre ogni ragionevole dubbio esiste un dispaccio segreto (successivamente declassificato) della CIA, redatto nel settembre del 1967, intitolato “Countering criticism of the Warren Report” (“rispondere alle critiche del rapporto Warren”), che dava disposizioni all’intelligence per impartire istruzioni ai reporter e agli organi direttivi delle forze dell’ordine, al fine di impedire il diffondersi di notizie e interpretazioni dei fatti in aperto contrasto con la versione ufficiale. La divisione della guerra psicologica stabilì infatti che le contestazioni scomode andavano screditate etichettandole come “conspiracy theories”. Il dispaccio però non si limitava a indicare l’etichetta da affibbiare a ogni obiezione alla Commissione Warren, ma forniva anche le linee guida da seguire per destituirle di ogni fondamento di fronte all’opinione pubblica.


Il fatto più interessante da notare riguardo a questa vicenda è che, nel corso dei decenni, la strategia del discredito con il termine “complottismo” (dare del matto a chiunque sia di intralcio per l’establishment) si è notevolmente affinata e rafforzata. Attualmente, per esempio, questa tecnica viene applicata con il supporto dei debunker (demolitori), ovvero i cosiddetti “cacciatori di bufale”, una nuova figura di professionisti comparsi come funghi sulla Rete di tutto l’Occidente per contrastare qualsiasi informazione contraria alle versioni ufficiali e mantenere salda la fiducia delle masse nelle istituzioni e nei mass media.
 

Ma per scoprire le incredibili analogie tra le direttive della CIA del 1967 e oggi, sarà sufficiente elencare brevemente alcune delle sue modalità d’azione:

1.    Sostenere che sarebbe impossibile nascondere una cospirazione su larga scala.
2.    Disporre di una lista di giornalisti amici che contrastano le accuse, supportando i rapporti ufficiali.
3.    Sostenere che a supporto della versione ufficiale sono emerse nuove prove significative.
4.    Sostenere che le testimonianze oculari sono inaffidabili.
5.    Sostenere che le informazioni ottenute senza autorizzazione non sono affidabili.
6.    Ignorare le accuse di cospirazione, a meno che la discussione a riguardo sia già iniziata.
7.    Sostenere che è deplorevole e irresponsabile speculare con tesi alternative alla versione ufficiale.
8.    Accusare i “complottisti” di infatuazione per le proprie teorie.
9.  Accusare i “complottisti” di essere motivati politicamente (gli scrittori e i giornalisti indipendenti vengono sistematicamente accusati di essere di estrema sinistra, estrema destra o filorussi).
10.    Accusare i “complottisti” di avere interessi economici nel promuovere le teorie del complotto.
11.    Accusare i “complottisti” di irrazionalità.

Da allora nulla è cambiato e le conclusioni pilotate della Commissione Warren continuano ad avere la massima credibilità dalle istituzioni di tutto il mondo, mentre qualsiasi prova contraria viene ancora classificata come “teoria complottista”.

 

 

“Gli eventi infelici all’estero ci hanno ricordato due semplici verità sulla libertà di un popolo democratico. La prima verità è che la libertà di una democrazia non è sicura se il popolo tollera la crescita del potere privato al punto in cui diventa più forte del suo stesso Stato democratico. Questo, nella sua essenza, è il fascismo: proprietà del governo da parte di un individuo, di un gruppo o di qualsiasi altro potere privato di controllo. 

La seconda verità è che la libertà di una democrazia non è sicura se il suo sistema imprenditoriale non fornisce lavoro e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere uno standard di vita accettabile. Tra noi oggi cresce una concentrazione di potere privato senza eguali nella storia”.
Franklin Delano Roosevelt - 1938
 

 

 

Fonte: Deep State – Marco Pizzuti

(1) “Chi uccise JFK? La perizia della ditta italiana”, La Stampa, 30 giugno 2007
(2) Gerald McKnight, Breach of Trust: How the Warren Commission Failed the Nation and Why, University Press of Kansas, Lawrence (USA), 2005.
(3) “Chi ha ucciso JFK?”, Adnkronos, 27 ottobre 2017
(4) Claudio Accogli, “JFK: Oswald non poté uccidere Kennedy da solo”, ANSA, 29 giugno 2007.
(5) William Scott Malone, “The secret life of Jack Ruby”, New Times, 23 gennaio 1976.
(6) ibidem
(7) Robert Lacey, Little Man: Mayer Lansky and The Gangster Life, Little Brown & Co, New York, 1991.
(8) 228    Rod McPhee, “Was Lee Harvey Oswald’s killer Jack Ruby injected with cancer to stop him revealing who really shot JFK?”, Mirror (GB), 6 gennaio 2017.
(9) Judyth Vary Baker, David Ferrie: Mafia Pilot, Participant in Anti-Castro Bioweapon Plot, Friend of Lee Harvey Oswald and Key To The JFK Assassination, Trine Day, Walterville (Oregon), USA, 2014.
(10) Charles Kong Soo, “Cancer the secret weapon?”, The Guardian, 26 febbraio 2012.
(11) Rod McPhee, “Was Lee Harvey Oswald’s killer Jack Ruby injected with cancer to stop him revealing who really shot JFK?”, Mirror (GB), 6 gennaio 2017.
(12) Ron Rhodes, Reasoning from the Scriptures with Masons, Harvest House Publishing, Eugene, Oregon (USA), p. 7.
(13) Neal Baker, “Cover-up? JFK files cut out CIA director’s reply to whether Lee Harvey Oswald was a secret agent so will we ever know the truth?”, The Sun, 27 ottobre 2017; Willa Frej, “JFK Files Don’t Make The Details Of His Assassination Any Less Mysterious”, Huffington Post, 27 ottobre 2017.
(14) Rod McPhee, op. cit.
(15) “Trump pubblica dossier Kennedy. ‘FBI sapeva di minacce a Oswald’”, Il Sole24Ore, 27 ottobre 2017.
(16) 25 ottobre 1963, https://www.archives.gov/files/research/jfk/releases/docid- 32197130.pdf
(17) Richard B. Trask, Pictures of the Pain: Photography and the Assassination of President Kennedy, Yeoman Press, Danver (Massachussetts), USA, 1994, pp. 145, 231, 259; https://www.jfk-assassination.eu/media/photos/moorman.php
(18) Richard B. Trask, op. cit.
(19) “Investigation of the Assassination of President John F. Kennedy: Hearings”, United States. Congress. House. Select Committee on Assassinations, Volume XII, marzo 1979, US Government printing office, Washington, pp. 24-25; Henry B. Burnett Jr., Ron Ridenour, David W. Belin, “Who killed JFK?”, Skeptic Magazine, settembre/ottobre 1975, n. 9, p. 15.
(20) Erik Hedegaard, “The Last Confession of E. Howard Hunt”, Rolling Stone, 5 aprile 2007.
(21) CIA’s use journalist and cleargy in intelligence operations, US Government printing office, Washington, 17 luglio 1996. https://www.intelligence.senate.gov/sites/default/files/hearings/ciasuseofjournal00uni
(22) Lyndon Johnson era il membro No 561 della Johnson City Lodge in Johnson City, Texas.
(23) Bepi Vigna, Libro di storia recente: l’Italia della prima Repubblica, CUEC, Cagliari, 2006, p.12.
(24) Earl Warren era Gran Maestro della Grand Lodge of California.
(25) James C. Bryant, The Morningside Man: A Biography of James Pickett Wesberry, Morn-ingside Baptist Church Publisher, Atlanta, Georgia (ISA), 1975, p. 169.
(26) John Hughes-Wilson, JFK: An American Coup: The Truth Behind the Kennedy Assassination, ReadHowYouWant, Surry Hills (Australia), 2015.
(27) “Kennedy: Una scia di 120 morti dietro l’assassinio”, Adnkronos, 10 agosto 2003.
(28) Intervista di Oliver Stone a cura del giornalista Giovanni Minoli per il programma Mixer del 17 febbraio 1993.
(29) “Countering criticism of the Warren Report”, documento CIA del settembre 1967 registrato con il numero 1035-960.