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La pericolosa corsa verso il vaccino

03-06-2022 18:37

Redazione Vox

La pericolosa corsa verso il vaccino

Chi sceglie la vaccinazione per sé o per i propri figli deve essere informato sui rapporti rischi-benefici e sui possibili effetti collaterali.

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Chi sceglie la vaccinazione per sé o per i propri figli deve essere informato sui rapporti rischi-benefici, sui possibili effetti collaterali, sulla reale composizione dei vaccini, sui danni accertati e sui retroscena delle scelte istituzionali e accademiche.

 

Libertà e consapevolezza

Vox Italia non è un partito no-vax, ma auspica un’informazione precisa e trasparente, che diventi la base per una scelta vaccinale consapevole.

Vox Italia si augura che possa essere sanata l'attuale profonda frattura fra i cittadini e le istituzioni, per la ovvia mancanza di fiducia che deriva dal negare l’evidenza dei fatti. Affrontare in modo preconcetto, censorio e negazionista il danno da vaccino, per fini strumentali alla giustificazione delle campagne di vaccinazione di massa, non permette alla cosiddetta comunità scientifica di confrontarsi liberamente e determinare tutte le necessarie correzioni ai programmi vaccinali istituiti forzatamente e in un clima di scontro sociale.

Servono risposte, serve una politica seria e incline all’ascolto dei cittadini, serve libertà di espressione per tutti (medici e ricercatori in particolare), serve un sistema di sorveglianza delle reazioni avverse, che operi con criteri scientifici e in piena trasparenza.

 

Come nascono le vaccinazioni

L’abbiamo imparato a scuola: la storia della vaccinazione nasce con Jenner alla fine del 700. Ma la vera storia è molto più controversa di come viene raccontata dagli insegnanti.

In realtà non sappiamo in che modo Jenner producesse i primi vaccini contro il vaiolo. Ma sappiamo che da alcuni secoli era conosciuta e praticata la tecnica della “variolizzazione”, che consisteva nel prelevare materiale infetto all'interno delle piaghe di soggetti in via di guarigione e inocularlo nei nuovi pazienti, con la speranza che venissero immunizzati.

Quello che è certo è che Jenner si appropriò di una tecnica già in uso, la variolizzazione contro il vaiolo a partire dalle mucche infette, facendola sua, anche grazie ai suoi appoggi massonici. Nel 1939 Allan Watt Downie, comparò i vaccini anti-vaiolo del suo tempo con un campione di virus bovino, accorgendosi della enorme differenza. Cosa diavolo era stato iniettato, allora, negli ultimi 150 anni a milioni e milioni di persone?

L’ipotesi di diversi studiosi, secondo cui il vaccino di Jenner derivasse dal vaiolo del cavallo piuttosto che da quello delle mucche, parve maggiormente avvalorata. Ma quale patogeno aveva utilizzato Jenner? A questa domanda, in realtà, nessuno sa rispondere.

Ma la cosa inquietante è che non si sa nemmeno oggi da cosa sia composto il vaccino. Nemmeno i grandi esperti lo sanno, perché le analisi per poterlo capire sono molto costose e, guarda caso, diventano off limits per chi voglia conoscere che cosa effettivamente contengano i vaccini.

Con l’avvento delle scoperte di Pasteur e la possibilità di eliminare i batteri da preparati e colture, si arrivò alla consapevolezza di come questo tipo di studi potesse dare grandi risultati nella cura delle malattie che tormentavano l'umanità. Con la nascita dell'istituto Pasteur, si creò un meccanismo di progressiva commercializzazione di questi risultati, che portò alla nascita delle aziende farmaceutiche, come la Sanofi Pasteur, e successivamente di multinazionali del farmaco che hanno costruito la loro immensa fortuna sui brevetti derivanti da queste scoperte.

Parliamo oggi di multinazionali che gestiscono una buona fetta del mercato e che hanno un potere enorme, specie in ambito politico. Ciò è anche dovuto al fatto che le maggiori banche sono entrate in compartecipazione, se non addirittura diventate proprietarie, delle principali multinazionali farmaceutiche, come Merck, Glaxo, Pfizer, ecc. (1).

 

Spuntano i conflitti d’interesse

Successivamente, nella seconda metà del ‘900, cessarono le rivalità tra questi colossi, ed iniziò un’epoca di joint-venture e alleanze finalizzate a “spartirsi la torta”. Lo stesso David Rockefeller sosteneva che la competizione tra le aziende è sbagliata. E questo orientamento si è riverberato anche nella storia delle aziende farmaceutiche, che hanno cominciato a costruire cartelli e associazioni; o comunque delle alleanze, anche occulte. Da qui nasce la problematica dei conflitti di interesse nei collegamenti con la politica, che ha originato i noti casi di scambi di favori tra politici e governi e industrie farmaceutiche.

Sanofi, ad esempio, è tuttora nelle mani del colosso del petrolio Total. E per qualche ragione questa informazione è stata cancellata da Wikipedia nell’agosto 2020.

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Ci ritroviamo quindi in una monumentale situazione di conflitti d’interesse, nella quale le aziende che dovrebbero occuparsi della nostra salute, sono intimamente connesse con le grandi multinazionali che gestiscono la finanza mondiale. A questo punto è lecito chiedersi se le loro finalità siano effettivamente quelle di renderci più sani.

Non sono questioni di poco conto, perché tra queste aziende, alcune hanno annunciato un vaccino per il Covid-19 che tra non molto vorrebbero iniettarci. Virus che, come ci ricordano molti virologi, muta nel tempo, rendendo vulnerabile anche chi si è già vaccinato, a dimostrazione, come vedremo più avanti, della probabile inutilità del vaccino stesso.

 

Le vittime della spagnola

A questo proposito, ricordiamo uno studio della dottoressa Karen Starko, virologa e scienziata del Boston City Hospital, che ha dimostrato come durante l’influenza “spagnola” del 1918, che ha registrato almeno 50 milioni di morti nel mondo, il principale fattore di mortalità non è stata la effettiva potenza e “viralità” del virus, ma un gigantesco e tossico abuso di aspirina, che venne consigliata dalle varie organizzazioni della sanità del tempo, a dosi dell’ordine di 7, 8 volte quelle che sono adesso le dosi massime consigliate e dietro “istigazione” della farmaceutica Bayer, a cui proprio nel 1917 era scaduto il brevetto dell'aspirina, cercando evidentemente di speculare il più possibile, prima che venisse condivisa la commercializzazione dell’aspirina con le aziende concorrenti. Con indebite pressioni, venne incentivato il più possibile l'acquisto del prodotto, spacciandolo come l'unica soluzione per far fronte al problema dell’influenza spagnola. Ma che probabilmente ebbe invece l'effetto di causare un’altissima mortalità (1).

 

L’estinzione del giornalismo

Oggi non siamo più abituati a leggere queste notizie sui giornali, mentre si è quasi estinto il cosiddetto giornalismo investigativo, che continua invece a funzionare in Paesi diversi dall’Italia, dove la stampa ha conservato una sua indipendenza e autorevolezza. Nel nostro Paese purtroppo il giornalismo è degenerato nel tempo, ma fino a qualche decennio fa e soprattutto all'inizio del ‘900, questo “quinto potere” era veramente critico ed era in grado di far luce su problematiche controverse, mettendo in difficoltà i soggetti di cui si occupavano le inchieste.

Oggi purtroppo non riusciamo più a trovare un giornalista che faccia domande scomode. Nella trattazione dell’attuale emergenza sanitaria la criticità è venuta a mancare, in un clima di generale appiattimento della stampa.

Ma focalizziamo ora l’attenzione sull’attuale pandemia di cui (quasi) tutti stiamo subendo le conseguenze.

 

COVID-19

Nell’articolo “SARS-Cov-2 e COVID-19: le più importanti domande sulla ricerca” pubblicato recentemente su Cell e Bioscience (1b) si indaga sulla conoscenza delle seguenti variabili del virus Sars-Cov-2:

● la trasmissione del virus,

● la diffusione asintomatica e presintomatica,

● la diagnosi,

● il trattamento,

● lo sviluppo di un possibile vaccino,

● l'origine del virus,

● la patogenesi virale.

Ad oggi non esistono risposte a queste domande, ma solo supposizioni contraddittorie.

Per quanto riguarda possibili terapie e mezzi di prevenzione, con il termine di ricerca “Coronavirus”, l’archivio internazionale della ricerca scientifico-clinica PubMed registra 70.542 pubblicazioni con la prima risalente al 1949 (2). Oggi, a novembre 2020, dopo 70 anni, il consuntivo di tale imponente massa di lavoro si sintetizza in una sola parola: fallimento. Fallimento per la ricerca scientifica e fallimento per la pratica clinica.

 

Vale la pena ricordare alcuni numeri che troppo spesso dimentichiamo: la mortalità nei paesi sviluppati dovuta a malattie legate al progresso è in costante crescita:

● cancro - 9,6 milioni di decessi - anno 2018,

● malattie cardiovascolari - 17,6 milioni di decessi - anno 2016,

● malattie autoimmuni - circa il 10% della popolazione mondiale ne è affetta,

di pari passo con la crescita del fatturato dell’industria farmaceutica che ha attualmente raggiunto un valore complessivo mondiale di quasi 1.000 miliardi di Euro. Nonostante quindi la vera piaga inarrestabile sia proprio l’aumento esponenziale di patologie croniche incurabili - e non le malattie infettive - il mondo del biotech ha trovato nella nuova pandemia da coronavirus un ulteriore canale nel quale iniziare a lavorare con rinnovato vigore verso la ricerca dell’arma magica: “il vaccino” che dovrà sconfiggere l’implacabile nemico “infezione”.

Il preannunciato fallimento di questo approccio farmacologico ci ricorda quanto avvenuto negli anni ’80, con l’esplosione del temutissimo HIV con al seguito il carico patologico dell’AIDS. Si dichiarò guerra al virus e scattò la corsa al “vaccino contro l’HIV”. Il bilancio ad oggi è che miliardi di euro sono stati spesi e il “vaccino contro l’HIV” non esiste. È quindi razionale e necessario che si cerchi di dare una risposta alla domanda che la società pone alla comunità scientifica: i vaccini sono un’opzione attuabile? Perché si continua nel perseguire un obiettivo vaccinale che non sembra raggiungibile, non offre garanzie di efficacia e comporta, al contrario, reazioni avverse fatali?

 

Quale vaccino?

Attualmente (23/11/2020) nella lista redatta e aggiornata del OMS i vaccini sperimentali sono 164, mentre 48 sono già in valutazione clinica sull’uomo. (2b)

Nonostante non siano ancora stati pubblicati i risultati dei test preclinici in vitro e sugli animali e non ci sia ancora alcun dato ufficiale sull’uomo, le aziende farmaceutiche già profetizzano che il vaccino avrà un’efficacia prossima al 90% e sarà totalmente sicuro.

In mancanza di dati clinici e basandosi su queste previsioni, le aziende si stanno organizzando per la produzione su larga scala di milioni di dosi da immettere sul mercato.

A questo punto ci chiediamo: se gli studi clinici, non ancora in grado di garantire né la sicurezza, né di valutare l’efficacia di un nuovo vaccino per tutta la popolazione, costituita da persone di varie fasce di età e con vari tipi di patologie e non da volontari adulti sani, non dovessero dare i risultati sperati? Se il vaccino dovesse risultare inefficace e troppo pericoloso? Cosa ne sarà dei milioni di dosi prodotte per questo vaccino e dei milioni di dosi prodotte anche per gli altri vaccini in sperimentazione negli altri Paesi a livello mondiale? I produttori di vaccini anti-COVID-19 parlano già di miliardi di dosi che potrebbero venire riversate nel breve termine sul mercato (10). Saranno questi costi a carico della popolazione, già vessata dalle conseguenze del SARS-CoV-2?

Come potranno mai garantire, lavorando a tale velocità di ricerca clinica e produzione, prima di tutto la qualità del vaccino (requisito base per poter essere messo in commercio) e poi la sicurezza e l’efficacia (requisiti base per poter essere somministrati a tutta la popolazione) - fasi che richiedono tempi molto lunghi e protocolli molto rigorosi di studio - laddove tutto il mondo scientifico e clinico non è riuscito in decenni a definire un vaccino efficace per l’HIV e per tantissime altre infezioni come la dengue, il citomegalovirus, o la malaria?

 

Rischi & profitti

Le agenzie regolatorie (FDA, EMA e nazionali) hanno deciso di concedere l’autorizzazione fast-track per i vaccini contro il SARS-CoV-2 sulla base di studi clinici su altri vaccini contro altre infezioni. Ciò è gravissimo in quanto è noto il rischio di potenziamento dell’infezione che si vuole prevenire con la somministrazione vaccinale. In altre parole, una volta arrivato alla commercializzazione, questo vaccino presenterà un rischio certo di potenziamento della malattia da cui si vuole proteggere il vaccinato, che può portare anche a complicazioni fatali (12).

Le agenzie regolatorie richiedono studi preclinici sugli animali per testare la capacità di formare anticorpi contro gli antigeni vaccinali ma non richiedono né studi tossicologici, né studi di monitoraggio per la valutazione delle reazioni avverse soprattutto in caso di reinfezione. Non è comprensibile il motivo per cui da un lato siano stati aboliti i test (di reinfezione dopo la vaccinazione) sugli animali, ma dall’altro si cerchi di proporli sui volontari vaccinati in corso di sperimentazione, per accelerare ulteriormente l’iter di approvazione (13).

 

Le motivazioni potrebbero essere due:

la prima che i test sugli animali non sono compatibili con le tempistiche dell’approvazione d’emergenza in fase pandemica (motivazione assolutamente non valida dal punto di vista della tutela della salute),

la seconda che i risultati degli studi sulla sicurezza sugli animali non sono affidabili per essere estrapolati sull’uomo (ma questo metterebbe in discussione i dati sulla sicurezza per tutti i vaccini già in commercio) (14).

La necessità di produrre con urgenza il vaccino è all’origine di due fattori molto importanti:

il primo è che bisogna restare in stato di allerta pandemica finché non sarà finita l’attuale fase di sperimentazione clinica. Per questo viene data molta enfasi mediatica ai casi di reinfezione e a nuovi focolai che emergono in Italia e nel mondo, accompagnati da lockdown spesso ingiustificati;

il secondo è che per il COVID-19 non devono esistere cure tali da abbassare il tasso di mortalità al livello dei decessi attesi, e infatti le cure continuano ad essere tutte in fase di sperimentazione (15) e approvate senza troppi limiti etici anche per farmaci noti per la pericolosità (16).

 

Vaccinazione antinfluenzale in tempo di Covid

Sappiamo già che l’orientamento politico è di rendere obbligatoria la vaccinazione antinfluenzale per operatori sanitari, over 65 e bambini, senza alcun presupposto valido, né scientifico né clinico, della sua utilità. Questo si desume dall’ordinanza della Regione Lazio firmata già nel mese di Aprile 2020 (20).

Il razionale di base è che la vaccinazione antinfluenzale dovrebbe permettere di abbattere il picco epidemico che potrebbe sovrapporsi dal punto di vista temporale con l’epidemia di SARS-Cov-2 mettendo in difficoltà le terapie intensive. È noto però dagli studi disponibili sulle precedenti stagioni influenzali che il vaccino antinfluenzale è del tutto inefficace nella fascia pediatrica, aumenta in maniera significativa la mortalità da influenza negli over 65 (21) e aumenta l’incidenza del 36% della co-infezione proprio da coronavirus per un fenomeno di interferenza da vaccino, a differenza dell’influenza contratta in maniera naturale che tende ad avere un effetto protettivo verso i virus parainfluenzali (22).

Per di più, la scarsa risposta immunitaria negli anziani li predispone maggiormente all’induzione del potenziamento della malattia polmonare in caso di reinfezione con esiti fatali, meccanismo che potrebbe spiegare sia l’eccesso di morti tra i vaccinati con vaccino antinfluenzale durante l’epidemia d’influenza stagionale (23), che per COVID-19 per effetto della cross-reattività tra vaccino antinfluenzale e coronavirus.

A fronte di queste evidenze, solo una profonda ignoranza di base può spiegare il significato delle scelte operate: sono del tutto prive di senso sia l’obbligatorietà della vaccinazione antinfluenzale, sia la possibilità di introdurre il vaccino sperimentale contro il SARS-Cov-2 all’interno del vaccino antinfluenzale (23b).

 

Efficacia e sicurezza dei futuri vaccini contro il SARS-Cov-2

Esaminiamo ora la potenziale efficacia e tossicità di questi vaccini.

Efficacia: il SARS-Cov-2 è un virus simile come struttura e caratteristiche al SARS-Cov-1, responsabile dell’epidemia in Cina nel 2003. Contro tale virus sono stati sviluppati numerosi vaccini, mai giunti alla commercializzazione per la scarsa efficacia e per le gravi reazioni immunopatologiche (28). Era già noto quindi da tempo che i virus SARS sono caratterizzati da una instabilità genetica che è responsabile della impossibilità di produrre un vaccino efficace. Per questo, anche i vaccini contro il SARS-Cov-2 presenteranno questa criticità che è alla base dell’inefficacia della vaccinazione.

Nel caso dei coronavirus SARS-Cov-1 (29, 30, 31) e SARS-Cov-2 (32, 33) la letteratura conferma la difficoltà, se non l’impossibilità, di ottenere un vaccino efficace a sufficienza per proteggere la popolazione nel corso di un’epidemia su larga scala (34). L’immunità di gregge vaccinale è quindi un mero parametro teorico senza alcun riscontro reale, perché all’aumentare della copertura vaccinale aumenta più rapidamente la spinta selettiva dei virus mutanti verso forme più resistenti ai vaccini stessi, rendendo inutile la vaccinazione e anzi, contribuendo a rendere il virus addirittura più patogenico.

Tossicità: Per quanto riguarda la potenziale tossicità sono da segnalare due meccanismi principali:

il primo si può riassumere in maniera molto essenziale così: quando il vaccinato si infetta con un virus mutato rispetto al virus contenuto nel vaccino, il suo sistema immunitario risponde in maniera non specifica e debole, perché programmato per rispondere in maniera efficace solo all’antigene vaccinale. Ciò comporta che il virus continua a replicarsi nel vaccinato portando ad un’infezione cronica con il rischio di sviluppare uno stato infiammatorio-autoimmune a lungo termine e recidive dell’infezione e resistente ai trattamenti farmacologici, oppure può innescare un’eccessiva reazione infiammatoria con conseguenze particolarmente pericolose per il vaccinato (49).

il secondo meccanismo ipotizza che il sistema immunitario sia inibito/soppresso nella risposta al virus, dagli antigeni presenti nel vaccino. E una formulazione diversa di vaccino non permette di superare tale problema (50).

 

Effetti collaterali della vaccinazione

Come tutte le vaccinazioni, esistono effetti collaterali che possono colpire in maniera più o meno significativa i vaccinati.

È importante ricordare che si tratta di vaccini nella fase iniziale dello sviluppo e la quantità di dati di sicurezza disponibili è limitata. Per questo motivo, è possibile che si verifichi un effetto collaterale più grave di quelli descritti di seguito o mai rilevato prima.

Reazioni locali - Potrebbe verificarsi un certo disagio nell’area dell’iniezione durante la vaccinazione;

Reazioni generali - Durante le prime 24-48 ore dopo la vaccinazione si possono manifestare sintomi simil-influenzali;

Reazioni gravi - Come con qualsiasi vaccinazione esiste il rischio di eventi avversi gravi, come una reazione allergica, correlati al sistema immunitario o al sistema nervoso. Le reazioni allergiche gravi ai vaccini (anafilassi) sono rare, ma possono essere mortali. Anche le reazioni nel sistema nervoso sono molto rare, ma possono causare una malattia chiamata sindrome di Guillain-Barré, una condizione in cui le persone possono sviluppare una grave debolezza e morire.

 

Il vaccino potrebbe peggiorare la malattia COVID-19?

In passato, i vaccini sperimentali sono stati sviluppati contro i virus SARS appartenenti alla stessa famiglia del COVID-19. In alcuni casi, gli animali che hanno ricevuto alcuni tipi di vaccini SARS sperimentali hanno sviluppato un'infiammazione polmonare più grave quando sono stati successivamente infettati dalla SARS rispetto agli animali non vaccinati. Non è certo quindi se anche questo potrebbe essere un effetto collaterale della vaccinazione e se questo effetto potrebbe verificarsi nell'uomo o se in alcuni casi ciò potrebbe portare ad una più grave malattia COVID-19.

Esistono poi altre importanti considerazioni, piuttosto tecniche ma non di minore importanza, a cui accenniamo brevemente, e che non permettono di valutare correttamente la sicurezza del futuro vaccino:

a) Tutti e tre i candidati al vaccino promettono un’alta efficacia contro il Covid-19:

Pfizer e BioNTech: efficacia del 95% (43.000 partecipanti alla sperimentazione), che dovrebbe significare che il 95% delle persone che hanno ricevuto il vaccino sono state protette contro la malattia;

Moderna: efficacia del 94,5% (30.000 partecipanti alla sperimentazione);

Oxford e AstraZeneca: efficacia del 62% in un regime di dosaggio e 90% in un altro (media del 70%), (11.000 partecipanti alla sperimentazione).

Oxford e AstraZeneca hanno riportato i loro risultati di efficacia sulla base di 131 casi. Moderna ha riferito la propria efficacia sulla base di un numero provvisorio di 95 casi, e Pfizer e BioNTech hanno registrato 170 casi.

Ma ci sono alcuni importanti elementi nei recenti annunci sull'efficacia del vaccino. Primo, i risultati sono stati annunciati in comunicati stampa anziché in documenti ufficiali sottoposti a peer-review. Secondo, l'efficacia riportata è principalmente riferita alla malattia, cioè alle persone che si ammalano, non all’infezione, cioè alle persone portatrici del virus. Quindi al momento non è ancora chiaro come questi vaccini riescano a prevenire l'infezione e non solo la malattia. Terzo, la sicurezza è un fattore di primaria importanza e gli sperimentatori devono ricercare le potenziali complicazioni. Soprattutto quelle rare, che risultano difficilmente individuabili in uno studio limitato a poche migliaia di persone (102).

b) si utilizza come controllo un gruppo di vaccinati contro il meningococco, definito sicuro perché già autorizzato e somministrato da tempo. Manca quindi il gruppo di controllo negativo con placebo (acqua fisiologica) e il gruppo dei mai vaccinati, che permetterebbero di quantificare l’incidenza reale delle reazioni avverse acute e soprattutto a lungo termine. Né è possibile considerare i vaccinati contro il meningococco al pari dei vaccinati contro il SARS-Cov-2, che vengono re-infettati. In questo modo è già presente un grossolano errore nei dati, con una sottostima significativa delle reazioni avverse.

 

La minaccia si chiama ADE

La mancanza di questi controlli, tra i vari problemi, pone quello del ADE (potenziamento dipendente dall'anticorpo). Questo meccanismo è stato scoperto negli anni '60, quando il dott. Scott Halstead e i suoi colleghi stavano studiando il virus della dengue in Thailandia e notarono che le persone che erano state esposte alla dengue una seconda volta avevano un aumentato rischio di dengue rispetto a quelle che non erano state precedentemente esposte.

Si può concludere quindi che questo tipo di sperimentazione, non è assolutamente in grado di fornire alcun dato sulla sicurezza del vaccino, perché per valutare il rischio di ADE è necessario attendere che i volontari vaccinati contraggano la malattia in entrambi i gruppi, cosa che non può avvenire nel corso dello studio clinico, ma solo dopo la commercializzazione. La sindrome autoimmune/infiammatoria è la reazione avversa potenzialmente più grave per questo vaccino.

 

Lo sporco caso Dengvaxia

Queste premesse, non certo rassicuranti, ci inducono a raccontare brevemente la storia del vaccino per la dengue nelle Filippine, proprio per le sue similitudini con l’attuale situazione, nella speranza che quanto la comunità scientifica dovrebbe aver appreso da quella infausta esperienza, non permetta il ripetersi degli errori (e dei morti) con l’attuale epidemia di Sars-Cov-2.

Nel dicembre 2015 il presidente delle Filippine, Benigno Aquino, aveva negoziato un accordo con la casa farmaceutica Sanofi per l’acquisto di tre milioni di dosi di Dengvaxia, il primo vaccino approvato contro la dengue. Il progetto era vaccinare un milione di alunni di nove anni con 3 dosi di vaccino ciascuno, per proteggerli dalle conseguenze peggiori della malattia: shock, collasso degli organi interni e morte.

Solo la fornitura sarebbe costata 57,5 milioni di dollari, in pratica più di tutto il programma nazionale di vaccini per il 2015. Avrebbe raggiunto meno dell’1% dei circa 105 milioni di residenti nel paese. E anche se si stimava che in media nelle Filippine ne morissero circa 750 persone all’anno, la dengue non rientrava neanche tra le prime dieci cause di mortalità. Tra le malattie infettive, polmonite e tubercolosi mietevano molte più vittime.

Ma leggendo con attenzione una relazione di Sanofi sulle sperimentazioni cliniche del Dengvaxia, alcuni epidemiologi filippini avevano trovato seri motivi di preoccupazione.

Tra i bambini asiatici dai 2 ai 5 anni, quelli che avevano ricevuto il vaccino avevano una probabilità 7 volte maggiore rispetto ai bambini non vaccinati di essere ricoverati per dengue grave nei 3 anni dopo l’inoculazione. In pratica, esisteva la possibilità che per alcuni bambini peggiorasse la situazione.

Nel marzo 2016 gli epidemiologi e altri professionisti del settore medico, avevano scritto all’allora ministro della salute, facendo notare che il vaccino poteva essere rischioso per alcuni bambini e che probabilmente valeva la pena aspettare un vaccino più sicuro.

In risposta, il gruppo consultivo sui vaccini dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), che fornisce le linee guida sulle pratiche di vaccinazione ai paesi, aveva affermato in un documento informativo su Dengvaxia che i ricoveri in ospedale di bambini inoculati, se osservati nell’arco di più anni, non erano statisticamente significativi.

Per ragioni sconosciute, ma facilmente intuibili, le autorità filippine non obbligarono Sanofi a presentare i risultati degli studi di farmacovigilanza. L’inserimento di un nuovo prodotto farmaceutico nel programma sanitario nazionale di solito richiedeva circa 5 anni, ma il programma di vaccinazione contro la dengue fu avviato subito, nell’aprile 2016.

 

Il ritorno dei negazionisti

Gli epidemiologi filippini hanno continuato per mesi a parlare con la stampa e hanno postato su Facebook un video in cui, sulla base della citata teoria del “potenziamento dipendente dall’anticorpo” (ADE), si avvertiva che nei bambini che non erano mai stati affetti da dengue in precedenza, il vaccino poteva rendere più letale del solito un successivo contagio da dengue. Per tutta risposta gli scienziati vennero bollati come dissidenti (oggi diremmo “negazionisti”), con l’avvertimento che i medici che avessero preso parte alla “disinformazione” su Dengvaxia sarebbero stati responsabili di ciascuna morte per dengue che si sarebbe potuta prevenire con il vaccino.

Le cose sono rimaste così fino al 2017, quando Sanofi pubblicò un avvertimento: Dengvaxia non doveva essere somministrato agli individui che non erano mai stati contagiati dalla dengue.

Un mese dopo l’OMS pubblicò nuove linee guida in cui raccomandava il vaccino solo a chi avesse “un precedente contagio di dengue documentato”. A fine 2017 le Filippine hanno fermato il programma di vaccinazione, mentre genitori e stampa reagivano con furia e recriminazioni, mentre aumentavano le segnalazioni di decessi di bambini. A quel punto erano già stati vaccinati più di 830.000 bambini.

Le Filippine non hanno ancora completato l’inchiesta sulle morti dei bambini vaccinati, né Sanofi ha ancora pubblicato la relazione finale sui 6 anni di sperimentazione clinica.

Sulla base dei dati ricavati dalle sperimentazioni di Sanofi si è calcolato che nelle Filippine potrebbero essere ricoverati per dengue potenziata dal vaccino più di 4.000 bambini, mentre più di 600 bambini sono già morti a causa del vaccino.

Nel 2019 sia il Senato che la Camera dei Rappresentanti delle Filippine hanno raccomandato che il presidente Aquino e il ministro della salute fossero messi sotto accusa ai sensi della legge anticorruzione, per irregolarità negli appalti per la fornitura del vaccino. Le famiglie di una trentina di bambini deceduti hanno avviato procedimenti penali contro il ministero e altri funzionari filippini, accusandoli di negligenza e irresponsabilità assimilabili all’omicidio e alla tortura (78).

 

Lo ripetiamo: che questa infausta esperienza non venga dimenticata dall’attuale comunità scientifica che ha la responsabilità della gestione del vaccino per il Covid-19, affinché non si ripetano errori già commessi in passato, per i quali a pagare potrebbero essere le categorie più deboli della popolazione.

Conclusioni

È recentissimo l’ultimo studio comparato tra il benessere dei soggetti vaccinati con quello di soggetti non vaccinati, che dimostra come questi ultimi godano di un migliore stato di salute (103). Questo farebbe pensare che l’uomo nasca con un sistema immunitario “omnidirezionale”, finché le vaccinazioni non vadano ad alterare questo equilibrio, “specializzando” il sistema in una direzione precisa (quella dell’antigene vaccinale), indebolendo la protezione sugli altri fronti.

 

Per l’attuale corsa la vaccino, da quanto esposto e alla luce del recente disastro del vaccino Sanofi per la dengue, un vaccino che era stato testato su 35.000 soggetti, è evidente che oggi, per il SARS-CoV-2 è obbligatorio procedere con moltiplicata attenzione a studi preclinici, studi di fase II e III, prima di procedere a protocolli affrettati di validazione, soprattutto considerando che nei correnti protocolli sono ammesse solo persone con stato di salute ottimale, mentre quando sarà somministrato a tutta la popolazione, il rischio di reazioni avverse gravi è sicuramente maggiore e significativo per le categorie già affette da più patologie invalidanti per le quali il vaccino sarà raccomandato o, peggio, reso obbligatorio.

Un’ultima considerazione riguarda la necessità di tutelare pienamente la libertà di scelta del singolo.

Le vaccinazioni facoltative e personalizzate sono l’unico modo per tutelare sia il singolo che la comunità, in contrapposizione alle indiscriminate vaccinazioni di massa. Perché individuare le persone non idonee alle vaccinazioni consente di salvaguardarne la salute ed evitare la spesa sanitaria da sostenere in caso di danno da vaccino. Pensiamo ai costi per il mantenimento di un bambino con danni neurologici gravi o tetraplegico, sia in termini di spese sanitarie che di costo umano alla famiglia che deve sostenerlo, spesso per il resto della sua vita. Per questo è necessario attuare un sistema che garantisca la libertà di scelta su tutti gli aspetti che potrebbero invece limitarla, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione.

gdm

 

(1) L’Industria della Vaccinazione- Storia e contro-Storia - Pietro Ratto

(1b) Cell Bioscience 2020;10:40. Published 2020 Mar 16. doi: 10.1186/s13578-020-00404-4 SARS-CoV-2 and COVID-19: The most important research questions. Yuen KS, Ye ZW, Fung SY, Chan CP, Jin DY. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7074995/pdf/13578_2020_Article_404.pdf

(2) J Bacteriol. 1949; 58(1):23‐32 Demonstration of an interference phenomenon associated with infectious bronchitis virus of chickens. Groupe V

(2b) https://www.who.int/publications/m/item/draft-landscape-of-covid-19-candidate-vaccines

(10) https://www.techtimes.com/articles/248972/20200420/covid-19-update-coronavirus-vaccine-makers-asks-governments-help-to-make-millions-of-doses-by-september.htm

(12) Is antibody-dependent enhancement playing a role in COVID-19 pathogenesis?
DOI: https://doi.org/10.4414/smw.2020.20249
Swiss Med Wkly. 16.04.2020;150:w20249
https://smw.ch/article/doi/smw.2020.20249

(13) J Infect Dis. 2020 Mar 31. pii: jiaa152. doi: 10.1093/infdis/jiaa152.
Human challenge studies to accelerate coronavirus vaccine licensure.
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Fabio Franchi - Vaccinazioni Di Massa, Successo o Fallimento

Heinrich Kremer - Sistema immunitario e vaccinazioni

Corvelva - La sicurezza dei vaccini

http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/Guida_valutazione_reazioni_avverse_osservabili_dopo_vaccinazione_2.pdf

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