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Costituzione al futuro

04-04-2020 22:43

Redazione Vox

Costituzione al futuro

La Costituzione italiana ha più di 70 anni e c'è da chiedersi se oggi i suoi principi siano ancora attuali.

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“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.”

(Piero Calamandrei – uno dei padri della Costituzione)

 

La Costituzione italiana ha più di 70 anni e c'è da chiedersi se oggi i suoi principi siano ancora attuali. Se la Carta Costituzionale rappresenti solo una testimonianza del passato o se contiene un progetto che guarda al futuro e che ancora deve realizzarsi.

La Costituzione italiana nasce nel 1947. Ma quali sono gli eventi storici che ne hanno determinato i principi fondanti?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo riferirci ai cambiamenti sulla politica economica occidentale, a seguito della Crisi del 1929 e, successivamente, del New Deal adottato da Roosevelt per la ripresa dell'economia.

 

La Crisi del ‘29

Subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, negli anni ’20, le nazioni europee faticavano a far ripartire l’economia, mentre gli Stati Uniti sembravano godere di un indubbio vantaggio nella ripresa, principalmente dovuto a svariati fattori:

• gli apporti in denaro provenienti dai Paesi alleati che avevano contratto debiti;

• il basso costo della manodopera, grazie al lavoro degli immigrati;

• l’espansione del mercato grazie all’assenza di disoccupazione e all’export.

 

Indotti dal costante andamento rialzista della Borsa, tutti comprarono azioni, in un clima di generale euforia. L’aumento degli investimenti, provocò la crescita del valore delle azioni, dando l’illusione di grandi guadagni, quindi anche i piccoli risparmiatori investirono capitali considerevoli in Borsa. Come conseguenza, il valore delle azioni salì a livelli irrealistici, non paragonabili alla crescita economica reale.

Ma, si sa, dall’euforia all’incoscienza il passo è breve; gli Stati Uniti imboccarono il vicolo cieco della sovrapproduzione, l’economia cominciò a rallentare.

E quando i cittadini si resero conto del pericolo incombente, era ormai troppo tardi: il 24 ottobre 1929 si verificò il crollo della Borsa di Wall Street. Nel giro di poche ore il valore delle azioni crollò a zero, trascinando nella rovina l’intero Paese.

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Crisi del 1929

 

Questo fatto portò alla recessione, cioè ad un forte rallentamento della produzione. Come abbiamo potuto sperimentare anche in tempi più recenti, la recessione americana contagiò l’Europa, portando ad una crisi mondiale.

In quel periodo, il sistema politico statunitense era costituito da due partiti: Partito democratico e Partito repubblicano. Dopo tre anni, nel 1932, ci furono le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti. Con le elezioni, fu eletto il democratico Franklin Roosevelt, il quale dovette gestire la disastrosa situazione lasciata dalla precedente amministrazione repubblicana di Herbert Hoover. I repubblicani, infatti, si dimostrarono incapaci di gestire la crisi di sovrapproduzione che aveva causato il crollo in Borsa e i fallimenti a catena di banche e fabbriche.

Il New Deal

Roosevelt realizzò che lo Stato doveva intervenire per far riprendere l’economia; adottò quindi una nuova politica economica, il New Deal (nuovo corso). I due aspetti principali di questa politica economica furono:

• l’aumento della spesa pubblica, per aumentare la domanda sul mercato e riavviare la produzione; garantendo salari e lavoro;

• miglioramento dei controlli da parte dello Stato sulle attività industriali e finanziarie, allo scopo di evitare le cause che avevano portato alla crisi. Ad esempio, mancava una legge che controllasse che il valore nominale delle azioni fosse simile al valore reale.

 

Questi due punti, quindi, prevedevano un maggiore controllo dello Stato, perché l’eccessivo liberismo aveva causato la crisi economica.

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John Keynes

 

In sostanza, Roosevelt mise in pratica i principi della politica economica keynesiana. John Keynes è considerato il più importante e “rivoluzionario” economista del Novecento. La sua teoria economica, che ruppe con la tradizione liberista del laissez-faire, cioè con l’idea che lo Stato non debba occuparsi di economia e lasciar fare al libero mercato, fu la base del New Deal inaugurato da Roosevelt per uscire dalla crisi. Le politiche keynesiane, costituite soprattutto da investimenti pubblici, tassazione progressiva e protezione sociale, risollevarono l’economia americana e segnarono la politica economica dell’Occidente fino agli anni ‘70. L’abbandono di quel fecondo filone di pensiero, in favore del libero mercato, propugnato dalla Ue, ha sguarnito la politica e la teoria economica degli strumenti per comprendere e gestire i cicli e ha prodotto diseguaglianze sempre più gravi che indubbiamente sono tra le cause della recessione di questi anni. La storia si ripete e noi commettiamo sempre gli stessi errori!

 

Liberismo o democrazia?
Alla luce delle vicende di detto conflitto, tra liberismo e politiche di salvaguardia dello stato sociale, nel corso del tempo, le moderne Costituzioni democratiche hanno cercato di garantire un modo accettabile di intendere il capitalismo. Per tale ragione viene attribuita la sovranità al popolo e vengono individuati gli elementi del capitalismo compatibili con gli interessi dei cittadini. Tale principio universale vale per tutte le costituzioni democratiche e si gioca sul conflitto lavoro/capitale che, è ipocrita nasconderlo, è tale da circa due secoli. Nel suo evolversi tale conflitto mostra i diversi modi di essere del capitalismo.

Convivere con questo conflitto significa conciliare interessi contrapposti che non si possono ignorare. Perché ignorarli significherebbe riportare gli individui a condizioni di arbitrio e di darwinismo sociale. Scenario che per il capitalismo sfrenato di Hayek [1] è ovvio e auspicabile ma altamente instabile e distruttivo della società.

Tale scontro è stato finora vinto dal neoliberismo introdotto nei Trattati Europei a spese delle democrazie. Una battaglia subdola che si basa sulla delega ai tecnici e sulla perdita di sensibilità collettiva per il danno arrecato dai Trattati alle democrazie.

 

La nascita della Costituzione italiana
Il 2 giugno 1946 si celebrarono libere elezioni, le prime dal 1924. Vennero consegnate contemporaneamente agli elettori la scheda per la scelta fra Monarchia e Repubblica, il cosiddetto Referendum istituzionale, e quella per l'elezione dei deputati dell'Assemblea Costituente, a cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova Carta costituzionale. Ufficialmente al referendum istituzionale la maggioranza dei votanti scelse la forma di stato repubblicana (in realtà non fu così, ma questa è un’altra storia).

I tre maggiori raggruppamenti eletti per l’Assemblea Costituente, furono quello della Democrazia Cristiana (207 seggi), quello del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (115), e quello del Partito Comunista Italiano (104). Pertanto il 25 giugno 1946 venne insediata l'Assemblea Costituente con Giuseppe Saragat alla presidenza. Come suo primo atto, il 28 giugno elesse come Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola.

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Assemblea Costituente - la firma di De Nicola

 

La Commissione dei 75

L'Assemblea Costituente si dedicò all'elaborazione della Costituzione attraverso la Commissione per la Costituzione, nota anche come “Commissione dei 75”, dal numero dei membri a cui fu richiesto di collaborare. Presidente della Commissione fu Meuccio Ruini, e la sua organizzazione interna prevedeva l'istituzione di tre sottocommissioni:

• diritti e doveri dei cittadini,

• ordinamento costituzionale dello Stato,

• diritti e doveri economico-sociali.

 

Ad un comitato di redazione, detto comunemente "Comitato dei 18" spettava invece il compito di coordinare ed armonizzare il lavoro prodotto dalle tre sottocommissioni. Il 31 gennaio 1947 il testo approvato dalla Commissione per la Costituzione, definito "Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana" venne presentato alla Presidenza dell'Assemblea Costituente, presieduta dal vicepresidente Umberto Terracini, per la discussione generale. Con la possibilità di intervento riconosciuta a tutti e 556 i deputati, il Progetto subì notevoli modificazioni.

È interessante considerare il Progetto di Costituzione come un modello di discussione e di confronto che, aperto al dialogo costruttivo, alla critica, e alla modifica, ha permesso di raggiungere la redazione definitiva dopo quasi un anno di confronto e compromesso tra tre anime (la cattolica, la marxista-socialista e la liberale).

Come riconosciuto da Zagrebelsky: "Le costituzioni contrattate tra più forze politiche e sociali non sono manifesti ideologici che devono obbedire a una rigorosa logica unitaria: sono documenti che, per poter valere, devono rappresentare tutte le parti dell'accordo. Il compromesso non è quindi la debolezza, ma la forza della Costituzione".

 

Da questo confronto è nata una Costituzione che tutela il pluralismo e le minoranze, che si impegna a contrastare le disuguaglianze, in virtù di un principio di eguaglianza sostanziale. Lo Stato interviene direttamente e si fa promotore dei diritti sociali ed economici dei privati. Oltre all'affermazione materiale della persona, il nuovo testo persegue contemporaneamente il progresso spirituale; e afferma con certezza il riconoscimento e la tutela di diritti fondamentali inviolabili sia del singolo sia delle formazioni sociali: la famiglia, la comunità religiosa, il sindacato, il partito politico, l'associazione privata.

 

Raggiunta quindi una convergenza complessiva sul testo, i 520 votanti conclusero la discussione generale con l'approvazione definitiva, il 22 dicembre 1947 con il 90% dei votanti favorevoli. La Costituzione venne poi promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 25 dicembre dello stesso anno.

 
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Caratteristiche della Costituzione
La Costituzione stabilisce le regole su cui fondare la vita di uno Stato, nel nostro caso una democrazia pluralista con la forma della Repubblica parlamentare. La Costituzione serve a definire la forma di Stato e di Governo, il processo legislativo, la separazione dei poteri e le loro caratteristiche, ma soprattutto serve a definire i principi fondamentali su cui si fonda la convivenza all’interno dei confini. Per questo la Costituzione viene definita come “legge fondamentale”, gerarchicamente superiore alle leggi ordinarie tra le fonti del diritto.

La Costituzione è fortemente ispirata a prevenire la prevalenza arbitraria di un potere sull’altro, volta a evitare ogni deriva antidemocratica. La Costituzione italiana può essere cambiata soltanto tramite un procedimento legislativo più complesso e a maggioranza più larga di quanto previsto per le leggi ordinarie. Con, in più, un limite invalicabile fissato nell’ultimo e 139° articolo: la forma repubblicana non può essere modificata.

Contenuti della Costituzione
La Costituzione italiana si compone di 139 articoli e di 18 disposizioni transitorie e finali.

Nella Costituzione sono definiti e regolamentati:

i principi fondamentali e inviolabili dello Stato (articoli da 1 a 12);

i diritti e i doveri fondamentali dei cittadini (articoli da 13 a 54);

l’ordinamento della Repubblica (articolo da 55 a 133);

le garanzie costituzionali (articoli da 134 a 137);

il procedimento di revisione della Costituzione e di approvazione delle leggi costituzionali (articoli 138 e 139)

 

"Fondata sul Lavoro"
Piero Calamandrei, uno dei padri di quel “pezzo di carta”, come a volte lo definiva, così lo spiegò agli studenti milanesi in un giorno del 1955, partendo dal secondo comma dell’articolo 3 (“il più importante di tutti”): È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Dice Calamandrei: “Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo 1 – L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica (…). E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere”.

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La Costituzione e la scuola

Alla scuola italiana non interessa che i nostri ragazzi conoscano la Costituzione italiana. A dirlo sono i risultati dell’indagine “L’educazione alla cittadinanza nella scuola superiore italiana” [2] svolta nel 2016 dall’associazione “Treellle” su un campione di giovani tra i 19 e i 23 anni che avevano terminato gli studi di secondo grado. Partiamo da un dato preoccupante: il 20,5% degli studenti non ha mai letto la Costituzione e il 54,2% di coloro che l’hanno presa in mano, hanno letto solo qualche articolo. In pratica circa i tre quarti degli studenti italiani non la conoscono. Dunque è chiaro che chi domani guiderà il Paese non conosce le fondamenta dello stesso.

Resta un dato consolatorio: a volere più educazione civica sono l’81 % dei giovani. Chi non l’ha compreso è chi governa questo Paese, intenzionato a smontare la Costituzione e a non farla conoscere. Eppure almeno i primi dodici articoli bisognerebbe saperli a memoria. Oggi l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, voluto dall’ex ministro Maria Stella Gelmini, è impartito dai professori di storia ma non è una materia. Alla primaria e alle medie difficilmente si studia. Eppure nel 1979, in terza media, si studiava e nel 1958 Aldo Moro introdusse l’educazione civica e lo studio della “Carta” come materia curricolare. Negli ultimi anni a parlare di Costituzione ci ha pensato Gherardo Colombo che, abbandonata la magistratura, ha deciso di dedicarsi, come faceva Antonino Caponnetto, alle scuole, agli studenti e agli insegnanti. Ma non basta. La Costituzione andrebbe studiata come disciplina fin dalla primaria.

La Costituzione: Carta anti-liberista

Nel 2018 questa Carta ha compiuto 70 anni, e descrive il nostro programma di italiani. È dovere della politica e, in primo luogo, di governo e Parlamento, essere l’anima di quel programma. La nostra Costituzione non è né un insieme di articoli, né una generica esposizione di principi: è un tutto organico che indica le politiche, soprattutto economiche, che rendano il programma possibile. Come abbiamo visto, il sistema delineato è quello keynesiano, cioè ispirato al pensiero dell’economista John Maynard Keynes. Gustavo Zagrebelsky lo ha descritto così nel suo libro “Fondata sul lavoro”: “La Costituzione pone il lavoro a fondamento, come principio di ciò che segue e ne dipende: dal lavoro, le politiche economiche; dalle politiche economiche, l’economia. Oggi, assistiamo a un mondo che, rispetto a questa sequenza, è rovesciato: dall’economia dipendono le politiche economiche; da queste i diritti e i doveri del lavoro”.

 

Questo “dal lavoro alle politiche” è ciò che è accaduto in Italia nei gloriosi 30 anni seguiti alla Seconda guerra mondiale, e che ha generato la fase di benessere che tutti conosciamo, e che possiamo così descrivere: intervento dello Stato nell’economia e nell’intermediazione del risparmio (pensioni e assicurazione sanitaria e anti-infortunistica); limitazioni alla libertà di movimento dei capitali e controllo del credito; Banca centrale dipendente dal governo e, dunque, finanziamento pubblico del deficit. Li ricordiamo come anni di crescita dei salari, aumento dell’occupazione, basso deficit pubblico. Quando il ministro DC Beniamino Andreatta, all’inizio del 1981, decise il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia condannando il Paese a “vendersi” sul mercato, il debito pubblico era sotto al 58% del Pil e la spesa dello Stato rispetto al Prodotto attorno al 41%, inferiore alla gran parte dei Paesi europei. Anche questo, insieme alla Costituzione, si cerca di far dimenticare da parte dell’attuale informazione manipolata.

 

Infatti il programma dei governi italiani degli ultimi 30 anni non è più la Costituzione, ma la perenne “emergenza economica” che ha affossato i fondamentali dell’economia “costituzionale”, ma privilegiato la logica dei mercati, penalizzando le condizioni di lavoro e lo stato sociale. Questo programma è stato addirittura messo nero su bianco dalla Banca centrale europea nella sua lettera dell’estate 2011: privatizzazioni, liberalizzazioni, libertà di licenziamento (flessibilità), tagli a welfare e pensioni pubbliche da sostituire con assicurazioni private. In sostanza, la riduzione del ruolo dello Stato, e trasformazione della società sulle esigenze dei famigerati “mercati”. Non è un caso che i Trattati europei, ispirati a questa concezione minima del ruolo dello Stato, non facciano menzione di “diritto al lavoro” (il nostro articolo 4), ma costruiscano la loro idea di società su due pilastri, la “stabilità dei prezzi” (inflazione bassa) e “un’economia sociale di mercato fortemente competitiva”.

 

È merito recente di Luciano Barra Caracciolo, giurista e presidente di sezione del Consiglio di Stato, aver sottolineato nel suo “La Costituzione nella Palude” come questa impostazione sia estranea sia al progetto contenuto nella Costituzione, sia alla visione dei padri costituenti, per i quali le idee liberiste, portate avanti da Luigi Einaudi, erano già vecchie e distruttive. Per questa ragione la Costituzione, nasce come Carta anti-liberista.

Infatti Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75”, così si rivolgeva a Einaudi: "Gli economisti, i migliori, riconoscono che il loro edificio teorico, la scienza creata dall’Ottocento, non regge più sul presupposto di un’economia di mercato e di libera concorrenza, che è venuto meno non soltanto per gli interventi dello Stato, ma in maggior scala per lo sviluppo di monopoli delle imprese private. Quando vedo i neo liberisti, come l’amico Einaudi, proporre una tale serie di interventi per assicurare la concorrenza che qualche volta possono equivalere agli interventi di pianificazione, debbo pur ammettere che molto è mutato. Non pochi vanno affannosamente alla ricerca della terza strada. La troveranno? Non lo so. Questo so: si avanza la forza storica del lavoro". E il lavoro, continua Ruini, va inteso “nel senso più ampio, cioè comprendente il lavoro intellettuale, il professionista, lo stesso imprenditore in quanto lavoratore qualificato che organizza la produzione e non vive, senza lavorare, di monopoli e privilegi”. Si riconosce in queste parole che i costituenti rifiutarono non solo “la scienza dell’Ottocento” (il liberismo) ma anche quella nuova, la “terza via” che rinnovava quella visione occupando lo Stato e realizzando per via legislativa e ordinamentale il dominio della grande impresa privata. E non si tratta di una voce isolata tra i costituenti; sempre nel 1947, Gustavo Ghidini spiega: “Ora fate l’ipotesi che la nostra rappresentanza fosse completamente eliminata e sedessero in questa Camera solo rappresentanti della Nazione aventi un orientamento regressivo e volessero formare una legge che contrastasse questi diritti al lavoro, li limitasse, li annullasse. La Corte costituzionale dovrebbe dichiararne l’incostituzionalità”.

Incompatibilità tra Costituzione e Trattati europei

Qui emerge l’evidente conflitto tra Costituzione e Trattati europei. Di incidenza immediata sui nostri principi costituzionali, come di ogni altro Stato Ue, è il “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance”, frettolosamente firmato il 2 marzo 2012 da 25 capi di Stato e di governo Ue su 27 (le eccezioni sono state Regno Unito e Repubblica Ceca). L’Italia, con altri Paesi, ha proceduto con la massima celerità a fare propri i gravosi impegni derivanti dal documento citato. L’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, mediante la modifica dell’art. 81, è stato deliberato dal Parlamento il 18 aprile 2012 dal non-eletto governo Monti, nonostante, va rilevato, che lo stesso Trattato definisse l’inserimento in Costituzione come preferenziale, e non obbligatorio. Ma una spiegazione, a settembre 2016, la fornisce il Guardasigilli Andrea Orlando che ha dichiarato al Fatto Quotidiano: “Non fu il frutto di una discussione nel Paese, ma del fatto che a un certo punto la Bce disse: “O mettete questa clausola nella Costituzione o chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese”. È una delle scelte di cui mi vergogno di più, penso che sia stato un errore e non tanto per il merito, che pure è contestabile, ma per il modo in cui ci si arrivò”.

 

L’art. 11 della Costituzione recita: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Ma come ci ha ricordato Gustavo Zagrebelsky: “La limitazione è prevista con l’obiettivo della pace e della giustizia tra le Nazioni, non per mettersi al servizio della finanza internazionale! L’obiettivo si è rovesciato: siamo in un momento in cui il potere economico ha sopravanzato il potere politico, ci si è alleato subordinandolo”.

Inoltre, non è affatto dimostrato che l’Unione europea “assicuri pace e giustizia tra le Nazioni”, ma soprattutto è violato il presupposto delle “condizioni di parità con gli altri Stati”: tale parità è infatti clamorosamente venuta meno negli ultimi anni a più riguardi. Si è avuto in particolare un evidente sbilanciamento delle politiche dell’Unione a favore degli Stati creditori, e in particolare della Germania (gli Übermenschen, i superuomini tedeschi), a scapito dei debitori (gli Untermenschen, esseri inferiori – vi ricorda qualcosa?). E la stessa Commissione europea anziché mantenersi imparziale tra i Paesi membri, ha accettato di diventare l’agente delle nazioni creditrici dell’Eurozona.

Salviamo la Costituzione

Non si contano, in questi anni, le dichiarazioni di esponenti politici del nostro Paese nel prendere atto dei problemi (e dei disastri) creati dall’attuale assetto istituzionale dell’Unione europea. Parallelamente c’è chi pensa che i problemi che oggi affliggono l’Europa si risolvano con “più Europa”. Un atteggiamento surreale che ricorda quello di chi pensa che i problemi dell’economia greca, drammaticamente aggravati dall’austerity, si risolvano con “più austerity”. Il problema non è quanta Europa si vuole, ma quale Europa, per fare cosa, e con quali valori e finalità. Se non è già troppo tardi, è necessario, per la nostra sopravvivenza, cambiare la direzione di marcia. E questa direzione deve tornare a essere quella indicata dalla nostra Costituzione. È questo il vincolo interno inderogabile che dobbiamo riproporre e sostituire al vincolo esterno rappresentato dai trattati europei e a ciò che essi hanno portato con sé: un anacronistico ritorno dello Stato minimo e del laissez-faire, appena riverniciato di modernità tecnocratica, che in particolare negli ultimi anni, ha dato pessima prova di sé, rendendo drammatica una crisi già severa. È ora di dire basta all’atteggiamento deresponsabilizzante del “ce lo chiede l’Europa”. Il prezzo pagato è stato elevatissimo, sia in termini di sviluppo economico che di equità sociale. Ma anche dal punto di vista dello svilimento e della perdita dei valori e dei diritti organicamente elaborati in una Carta costituzionale tra le più avanzate del mondo.
gdm

[1] Friedrich August von Hayek (Vienna, 8 maggio 1899 – Friburgo in Brisgovia, 23 marzo 1992) è stato un economista e sociologo austriaco. Pensatore liberista, è stato uno dei massimi esponenti della scuola austriaca e critico dell'intervento statale in economia.

[2] http://www.treellle.org/sintesi-del-sondaggio-diplomati-19-23enni-di-treellle-su-leducazione-alla-cittadinanza-nella-scuola

Bibliografia

Euro o democrazia costituzionale? - Luciano Barra Caracciolo

La Costituzione nella palude - Luciano Barra Caracciolo

Fondata sul lavoro - Gustavo Zagrebelsky

Il tramonto dell’Euro – Alberto Bagnai

Costituzione italiana contro trattati europei – Vladimiro Giacchè

https://www.studiocataldi.it/articoli/33426-storia-della-costituzione-italiana.asp

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/01/costituzione-70-anni-dopo-dal-lavoro-alla-giustizia-sociale-fino-alleconomia-la-nostra-carta-tradita-dalla-politica/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/22/scuola-la-costituzione-va-studiata-come-le-tabelline/2568994/

 

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