Anni Settanta. Il giornalista De Mauro stava collaborando al film sulla morte di Enrico Mattei, il presidente dell'Eni che osò sfidare le compagnie petrolifere internazionali. Lo scrittore Pasolini stava scrivendo il romanzo "Petrolio", 2.000 pagine che avrebbero raccontato al mondo intero le trame oscure del Potere, la verità sul delitto di Enrico Mattei e l’avvento di un regime dominato dalla finanza e dalle multinazionali.
De Mauro e Pasolini furono entrambi ammazzati. Entrambi avrebbero denunciato una verità che nessuno voleva venisse a galla: e cioè che con l'uccisione di Mattei iniziò un'altra storia d'Italia, un intreccio perverso e di fatti eversivi, che si trascina fino ai nostri giorni. Controllo dell'informazione, corruzione dei partiti, rapporti con i servizi segreti, primato del potere economico su quello politico.
Mattei e l'Agip
L’Agip (Azienda generale italiana petroli) venne fondata nel 1926. L’impresa s’impegnò nella ricerca e nello sfruttamento delle fonti petrolifere esistenti nel Paese, soprattutto in Val Padana, occupandosi dei rifornimenti energetici necessari all’industria.
(Archivio Fondazione Fiera Milano)
L’Agip nel 1931 stabilì un accordo con l’Unione Sovietica per la fornitura diretta di petrolio greggio e sviluppò proprie tecniche di perforazione, raffinazione e petrolchimica. Nel 1941 l’Agip fu affiancata dalla Snam (Società nazionale metanodotti) per la costruzione e l’esercizio dei metanodotti e la distribuzione e vendita del gas.
Enrico Mattei (Acqualagna, Pesaro, 29 aprile 1906 - Bascapé, Pavia, 27 ottobre 1962), educatosi come i più della sua generazione alla scuola del lavoro, divenne imprenditore di una fabbrichetta di prodotti industriali e successivamente partecipò alla vita politica del Paese.
Enrico Mattei
Il 28 aprile 1945, su sollecitazione degli Stati Uniti, il governo italiano dispose la liquidazione dell’Agip nominando Mattei commissario straordinario dell’azienda. Mattei avrebbe dovuto liquidare l’azienda, la cui presenza nel settore petrolifero non era ben vista dal governo degli Stati Uniti, che controllava il 90% del mercato petrolifero mondiale con la proprietà delle prime 5 delle «Sette sorelle» (Le “Sette sorelle” erano le società petrolifere Exxon, Chevron, Gulf, Texaco, Mobil, Shell, British Petroleum. A parte la Shell, olandese, e la British Petroleum, britannica, le altre cinque erano tutte società statunitensi).
A differenza di Romano Prodi, al quale sarà affidato qualche decennio dopo lo sporco compito di liquidare l’Iri, cosa che farà, conquistandosi benemerenze che lo porteranno alla presidenza del Consiglio e della Commissione dell’Unione europea, Mattei si comportò nel modo esattamente opposto. Infatti Mattei manifestò grandi resistenze a quella cessione, perché consapevole delle potenzialità di quel complesso industriale.
Con l’appoggio determinante del presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, Mattei riuscì a fare istituire una holding dello Stato, l’Eni, cui venne affidata la gestione dell’Agip, con Mattei nel ruolo di presidente.
Questa mossa non aveva preoccupato più di tanto le grandi potenze petrolifere, Stati Uniti e Regno Unito, dato che l’Italia non aveva né petrolio, né gli strumenti per estrarlo, dato che le tecnologie occorrenti erano sofisticate e protetti da brevetti americani e inglesi. Invece il presidente dell’Eni, lo sconosciuto Enrico Mattei, mise in moto una macchina industriale che col tempo si rivelò un pericolo per i Paesi occidentali che avevano il controllo assoluto sulla produzione e il commercio mondiale di petrolio.
Enrico Mattei, con il ministro delle Finanze Ezio Vanoni e il presidente del Consiglio De Gasperi, era consapevole del ruolo strategico dell’energia e del petrolio per la ricostruzione e la modernizzazione del Paese e per la collocazione dell’Italia nei futuri scenari europei e internazionali.
Per questa ragione, anziché liquidare l’Agip, Mattei avviò il suo rilancio, intensificando l’attività di perforazione che porterà nel 1948 alla scoperta di un nuovo giacimento di gas naturale vicino a Ripalta (Cremona); nel 1949-52 in Val Padana furono scoperti numerosi altri giacimenti. In quegli anni la produzione italiana di gas aumentò da 20 a 305 milioni di metri cubi, e la rete di distribuzione si espanse da 354 a 1.266 chilometri. Fu creata una grande rete metanifera che ridusse il peso della bilancia estera dell’energia sull’economia del Paese, facilitando e accelerando la sua modernizzazione. Inoltre, per supplire alla carenza di petrolio in Italia, Mattei instaurò rapporti di cooperazione verso i Paesi arabi e del Nord Africa e si mosse in modo autonomo verso quelli del blocco socialista.
La storia conferma il contributo decisivo che Mattei diede all’ascesa economica dell’Italia dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale.
Tra i massimi produttori occidentali di petrolio – Usa e Regno Unito – esisteva un’intesa che escludeva gli altri Stati da quel grande business. L’Italia non era parte di quell’accordo, perché non veniva neppure presa in considerazione. Mattei infranse quell’intesa e quell’equilibrio mediante l’Eni, e nei fatti fece entrare l’Italia nei grandi affari petroliferi internazionali.
Il sistema italiano, nella parte di economia pubblica, ereditata dal fascismo, si presentava con una fisionomia del tutto diversa rispetto agli altri Paesi occidentali. E questo era un ulteriore motivo di preoccupazione per i nostri concorrenti. Da parte statunitense e britannica vennero perciò delle spinte molto forti per liquidare il settore pubblico. Se ne voleva la privatizzazione, mediante la cessione al mercato delle azioni controllate dalle istituzioni statali. C’erano state delle pressioni in tal senso su De Gasperi, che nella condizione di premier di un Paese sconfitto non aveva la forza per resistere formalmente a quelle sollecitazioni. Tuttavia, abilmente, su questo fronte egli non prese mai apertamente posizione nei confronti dei vincitori, ma nei fatti disattese le indicazioni che gli erano venute, fino ad arrivare addirittura a un forte potenziamento del sistema dell’economia pubblica.
L’eredità positiva di Mattei sul sistema economico e industriale è durata a lungo, e la consacrazione formale arrivò però dopo la sua morte, nel 1975, con l’ammissione del nostro Paese al G7, dove abbiamo mantenuto a lungo una posizione che si collocava fra la quarta e la sesta potenza industriale. Nella relativa classifica diffusa dalla World Bank l’Italia si collocava subito dopo colossi come Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, talvolta precedendo anche la Gran Bretagna.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale esisteva una sorta di rango degli Stati nelle relazioni internazionali, a ragione della sconfitta del nostro Paese. Pareva stabilito (anche da accordi segreti) che l’Italia fosse in Europa una potenza di terz’ordine, da tutti i punti di vista: quello economico, quello politico, quello del peso nelle relazioni internazionali.
Quando si perde una guerra, le conseguenze sono disastrose, e si resta alla mercé dei vincitori per periodi di tempo che non si misurano in anni e neppure in decenni. Esse possono portare a una rovina senza ritorno. La storia ne fornisce esempi. E l’Italia sembrava destinata a percorrere quella strada di decadenza.
Questo era chiaro a De Gasperi e a Mattei e la loro strategia mirava proprio al ribaltamento di questo assioma. Al presidente del Consiglio italiano tale merito generalmente non viene riconosciuto. In realtà, l’intera operazione del petrolio italiano non sarebbe stata possibile senza il forte sostegno politico e diplomatico dello statista democristiano, il quale, con le sue responsabilità politiche e nelle condizioni internazionali in cui si trovava l’Italia, dette il sostegno decisivo a un’operazione che rompeva un equilibrio internazionale scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale. Dopo di lui, nessun uomo di governo italiano ha saputo realizzare una politica estera con una visione veramente strategica degli interessi nazionali.
Nella formazione politica e culturale di Mattei c’era una forte componente nazionalista e di orgoglio italiano e queste furono le basi sulle quali si sviluppò, e acquistò grande forza, il progetto dell’indipendenza italiana nel settore più importante per il controllo dell’energia e dello sviluppo: quello petrolifero.
A quel tempo la Cina era un paese off limits per l’occidente: non dovevano esserci scambi occidentali con quel Paese. Mattei invece aprì un’esportazione di tecnologia dell’Eni verso la Cina comunista, in cambio di prodotti petroliferi. L’Eni inviava apparecchiature per l’estrazione e fertilizzanti, ricevendo in cambio petrolio a prezzi più convenienti di quelli correnti sul mercato occidentale.
Enrico Mattei a colloquio con esponenti della Repubblica Popolare Cinese (fonte: archivio storico Eni)
Tra le iniziative di Enrico Mattei che irritarono i concorrenti occidentali ci fu la firma a Teheran nel marzo del 1957 di un accordo che assegnava all’Iran il 75% degli utili sullo sfruttamento di alcuni giacimenti petroliferi, rompendo la regola del massimo del 50% allora in vigore, imposta dai Paesi colonialisti. Accordi analoghi furono fatti con l’Egitto (1957) e Marocco (1958) mentre tentativi analoghi con la Libia e l’Iraq furono fatti fallire da interventi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
Negli accordi con i Paesi, l’Eni anticipava gli investimenti necessari alle ricerche e se queste avessero avuto esito positivo il Paese detentore dei pozzi avrebbe rilevato le azioni dell’impresa, fino a ripianare la metà degli investimenti effettuati, diventando in tal modo associato pariteticamente con la società italiana nello sfruttamento dei giacimenti. Così l’Eni si collocò alla testa della gestione delle grandi reti di distribuzione di carburante in Europa.
Queste politiche fecero dell’Eni una delle prime 10 società petrolifere mondiali e portarono l’Italia in una situazione di autonomia energetica rispetto agli altri Paesi europei. Ma, nel contempo, spaccarono il cartello petrolifero controllato dalle «Sette sorelle» e dagli Stati Uniti. E questo fu sufficiente perché Enrico Mattei e l’Italia divenissero oggetto di «attenzione» del dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
Con l’Eni, la Dc realizzò un programma che portò il controllo pubblico nell’economia al livello più elevato di tutti i Paesi occidentali. Il Pci si tenne invece in disparte in tale questione e commise l’errore strategico di contrastare il progetto di Mattei. È vero che il sistema delle partecipazioni statali diventò anche uno strumento di finanziamenti politici e di corruzione, e tale diventò specialmente l’Eni, anche per ciò che riguarda il sostegno finanziario, ma non solo, della Dc. Tuttavia avversando quel progetto se ne ignorarono le valenze strategiche dirette allo sviluppo politico ed economico del Paese.
Ecco il punto centrale: aver finanziato i partiti, specialmente quelli al governo, fu la principale accusa mossa a Mattei in una serie di articoli di Indro Montanelli. Quell’accusa era pienamente fondata. Mattei faceva le stesse cose illecite che i petrolieri stranieri hanno sempre fatto in tutto il mondo, Italia compresa, ma il suo business del petrolio era a tutto vantaggio degli interessi nazionali. Con la consapevolezza che gli interessi italiani non dovevano essere soffocati da quelli delle industrie petrolifere degli Stati stranieri più potenti.
In questa storia abbiamo solo due importanti certezze. La prima è l’evoluzione del nostro Paese a potenza petrolifera mondiale. La seconda è che Mattei, scomparso a Bascapè il 27 ottobre 1962, nel rogo dell’aeroplano che lo portava a Milano, è morto a causa della deflagrazione di una carica d’esplosivo. Nei reperti di quell’incidente, le perizie tecniche della Procura presso il Tribunale di Pavia ha infatti accertato le tracce di una «limitata esplosione a bordo». Ciò dopo avere dimostrato che «né i motori né i serbatoi né la bombola di ossigeno siano esplosi».
Nel marzo 2003, il Pubblico Ministero del Tribunale pavese, a conclusione di un’indagine riaperta nel 1994, ha attestato che: «La caduta dell’aereo Morane Saulner 760/B Paris Isnap, con a bordo Enrico Mattei, William Mc Hale e Irnerio Bertuzzi è stata conseguenza diretta di un sabotaggio».
Alla certezza di questi fatti, ovviamente non si può non aggiungere che Mattei abbia restituito all’immagine del nostro Paese una forza che, in quegli anni, consentiva di dire “Italia” con autentico orgoglio.
Milano negli anni del boom economico
Ed è stata proprio questa ascesa in campo economico che non è mai stato gradito oltre le Alpi e oltre oceano e che è divenuta la causa del suo tragico epilogo.
Successivamente, come sappiamo, Il Paese fu rimesso in riga nel settore energetico dietro la direzione degli altri Paesi europei e degli Stati Uniti.
Ma è importante ricordare che l’Agip, anziché essere liquidata, divenne una piattaforma per il rilancio dell’intera economia italiana. Dunque, se dovessimo trovare un insegnamento che ci ha lasciato Enrico Mattei, sarebbe questo: “Non arrendersi mai, ma rilanciare e ripartire”.
Fonti:
- Capitalismo predatore. Come gli USA fermarono i progetti di Mattei e Olivetti e normalizzarono l'Italia (Bruno Amoroso, Nico Perrone)
- Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Che cosa sapevano. Perché dovevano morire (Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza)
- Enrico Mattei deve morire. Il sogno senza risveglio di un paese libero (Alberto Marino)